La prima volta del proteoma

Chi lo aveva annunciato alla fine del 2001 era stato facile profeta: il 2002 è l’anno del proteoma, si apre cioè l’era dello studio delle relazioni fra le proteine codificate dai geni degli organismi. Ma forse non ci si aspettava che la prima mappa di questo genere fosse pronta già nei primi giorni di gennaio. Invece è stato proprio così. Sulle pagine di Nature di questa settimana fa infatti bella mostra di sé lo schema dell’organizzazione funzionale del proteoma di un organismo eucariota: il lievito Saccharomyces cerevisae. Come era successo per il genoma, l’insieme dei geni, lo studio inizia da un organismo semplice, un modello largamente utilizzato nella ricerca farmaceutica. Così a sei anni dalla mappatura genetica, che aveva coinvolto più di 100 laboratori in Europa, Stati Uniti e Giappone, il lievito viene messo a nudo per la seconda volta. E svela l’organizzazione delle attività cellulari nel loro insieme grazie a uno schema che illustra graficamente la rete di interazioni tra i complessi proteici intracellulari. A comporre il primo pezzo (circa un terzo dell’opera complessiva) del complicato puzzle è stata un’impresa biofarmaceutica con sede a Heidelberg in Germania e Elstree in Inghilterra, la Cellzome, fondata nel 2000 da alcuni ricercatori fuoriusciti dal Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl).

“Molte attività cellulari sono causate dai complessi proteici”, spiega Giulio Superti-Furga, direttore scientifico di Cellzome. “Queste macchine molecolari giocano un ruolo cruciale sia nella vita normale di una cellula sia nello sviluppo di malattie”. Se infatti il genoma aveva fornito le lettere dell’alfabeto della vita, nulla aveva indicato della grammatica con cui comporre le parole, non dando quindi indicazione su come e quando le molecole divengono attive nelle cellule. Il lavoro presentato su Nature è appunto un primo passo in questa direzione. Ma cosa possono scorgere degli occhi esperti nella mappa? Le interazioni di 1440 proteine che costituiscono 232 complessi multiproteici. Per realizzarla i ricercatori hanno utilizzato una tecnologia da loro brevettata per l’assemblaggio e la purificazione dei complessi proteici chiamata Tap, originariamente messa a punto nell’Embl, che permette di isolare i complessi multi-proteici direttamente dalle cellule in condizioni molto simili a quelle fisiologiche. Circa due anni fa, infatti, alcuni ricercatori dell’Embl svilupparono un metodo per individuare quelle proteine che potevano essere utilizzate come esche per “pescare” i complessi. Combinando queste tecnica con la spettroscopia di massa di tipo Maldi (Matrix-assisted-laser-desorption-ionisation-time-of-flight mass spectroscopy) e alcune tecniche bioinformatiche è stato quindi possibile analizzare la rete di interazioni proteiche del lievito. Un lavoro complesso che ha portato all’analisi di ben 20 mila proteine.

Lo studio ha riservato anche delle sorprese. Le funzioni di un gran numero di proteine del lievito rimangono ancora sconosciute. E come se non bastasse molti dei complessi proteici utilizzano gli stessi componenti, il che induce i ricercatori a pensare che molte proteine abbiano più funzioni di quelle finora sospettate. “Quando si mettono insieme tutti i complessi proteici in una singola mappa accade qualcosa di sorprendente”, spiega Superti-Furga. “Ci sono molti modi diversi di guardare al risultato: si possono legare i complessi ai loro componenti oppure alle loro funzioni cellulari. Ottenendo così una mappa di un livello di organizzazione superiore a quelle conosciute finora. È come guardare un quadro pointilliste neo-impressionista: se stai vicino riesci a vedere solo i singoli puntini colorati, mentre da lontano si vede un’immagine coerente”.

Ora rimane da analizzare i restanti due terzi del genoma del lievito. In questa fase iniziale, infatti, il progetto ha preso di mira solo le proteine simili a quelle umane: “abbiamo scoperto che le cellule del lievito e quelle umane hanno in comune molte “macchine”, composte da proteine simili. Questo significa che mentre le singole molecole hanno subito modificazioni significative nel corso dell’evoluzione, le cellule delle nuove specie continuano a costruire lo stesso tipo di meccanismi, utilizzando però i nuovi componenti”, spiega ancora Superti-Furga. Lo studio quindi aiuterà i ricercatori a identificare i componenti di meccanismi simili nelle cellule umane, la chiave per sviluppare la nuova medicina post-genomica. “Queste mappe permetteranno ai ricercatori di assegnare un ruolo a ciascuna proteina nella cellula e così facendo si amplieranno le possibilità di individuare i nuovi bersagli molecolari dei farmaci”, conclude il direttore scientifico della Cellzome.

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