Biotech non ti conosco

Innovazione, rischio, responsabilità. Sono questi i tre cardini intorno ai quali si è sviluppata l’indagine “Biotecnologie e opinione pubblica”, realizzata dalla Fondazione Giannino Bassetti e dalla società di ricerca Poster, presentata lo scorso 6 marzo a Milano. Ne è emerso che in fatto di biotecnologie gli italiani sono poco e male informati: un italiano su due ne ha sentito parlare, ma non ne conosce il significato, tanto che il 30 per cento degli intervistati crede che “i comuni pomodori non contengono geni, mentre quelli geneticamente modificati sì” e il 37 per cento associa agli animali geneticamente modificati dimensioni necessariamente maggiori rispetto a quelle degli altri animali. “Abbiamo una tradizione poco felice in materia di divulgazione scientifica”, sostiene Federico Neresini, ricercatore presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova e supervisore dell’indagine, “che peraltro si innesta su una tradizione altrettanto infelice di informazione tout court. Siamo il popolo più pigro d’Europa: quello che compra e legge meno i giornali. Delle biotecnologie, tuttavia, si è parlato parecchio, ma buona parte di questa informazione non è stata sufficientemente precisa e corretta. Ecco, quindi, che gli italiani hanno soltanto una vaga idea delle innovazioni biotech, scambiando questa idea per conoscenza”.

Le convinzioni etiche, religiose e ideologiche contano, ma non troppo. “A prevalere, invece, è la convinzione che più un’innovazione è utile, meno si dimostra rischiosa e più è moralmente accettabile”. Le opinioni espresse in materia di salute rendono bene l’idea: la maggioranza della popolazione risulta favorevole ai test genetici in grado di individuare la predisposizione alle malattie e il 48 per cento del campione giustifica l’inserimento dei geni umani negli animali per realizzare organi da trapiantare. Sì alla clonazione terapeutica, no a quella usata per fini riproduttivi: il 90 per cento degli italiani la ritiene moralmente inaccettabile e due terzi degli intervistati considerano altamente rischioso l’utilizzo degli embrioni.

Una flessibilità che scompare quando si passa al campo agro-alimentare. “Mentre si coglie subito l’importanza di disporre di cure per sé o per i propri cari, non si sente la necessità di avere cibo geneticamente modificato, dal momento che quello tradizionale è più che sufficiente sotto il profilo quantitativo e qualitativo”, commenta ancora Neresini. Se pure costassero meno, se fossero più gustosi, se rendessero l’Italia più competitiva sul mercato e se addirittura alleviassero la fame nel mondo, gli Ogm non sarebbero comunque sulla tavola degli italiani. Probabilmente, sostiene Neresini, “agiscono in questo caso presupposti culturali ben radicati. Contrapposizioni del tipo naturale/artificiale, puro/impuro, laddove ciò che è artificiale è considerato impuro e questo nocivo per la salute, sono pregiudizi che molto difficilmente si possono scalfire”.

Un dato emerge prepotentemente da questa ricerca: la diffidenza degli italiani. Chi dice la verità sulle biotecnologie? A chi spettano le decisioni in merito? Nel primo caso, le associazioni dei consumatori sono state indicate come le fonti più credibili di informazione, in quanto “gruppi di persone accomunate dalla medesima condizione. Ciò non significa, però, che queste stesse persone possano regolamentare la materia”. E se le associazioni ambientaliste stanno perdendo credibilità, se non ci si fida granché degli scienziati, tantomeno delle imprese che li circondano, il potere decisionale viene assegnato al governo e alle pubbliche istituzioni in generale. A condizione che i cittadini stessi vengano coinvolti. Non necessariamente tramite referendum, ma, aggiunge Neresini esulando dai dati della ricerca, “con modalità di costruzione delle decisioni inedite per l’Italia. Si pensi al meccanismo del consensus conferendum adottato in Danimarca e in Inghilterra o ai percorsi di consultazione, di cui gli Stati Uniti e la Svizzera hanno dato esempio. I primi, quando si è trattato di regolamentare l’utilizzo delle cellule staminali, hanno sollecitato i cittadini a spedire migliaia di e-mail allo Stato. Gli scienziati svizzeri, in occasione del referendum sulle biotecnologie, sono andati per le strade e hanno cercato un contatto più diretto con la gente”.

L’indagine, in conclusione, ha dipinto un quadro inedito degli italiani. Ignoranti e diffidenti, ma al tempo stesso capaci di formulare giudizi complessi di fronte a problemi articolati. “Quando gli italiani sono chiamati a esprimersi sulle biotecnologie in generale incontriamo solo opposizione, quando, però, vengono introdotti argomenti specifici dimostrano capacità di discernimento”. Un’immagine insolita dell’opinione pubblica, considerata finora sulla base di modelli semplicisti una massa informe. “Si sarebbero perse in questo caso due grosse fette della popolazione: un 10-15 per cento di informati e per questo pieni di dubbi, e un 30-40 per cento di favorevoli, ma ignoranti”.

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