La storia della generazione spontanea

Henry Harris
Things come to life. Spontaneous Generation Revisited
Oxford University Press, 2002
pp.168, euro 26,67

“Per fare un albero ci vuole un seme, per fare il frutto ci vuole l’albero…”. Così recitava una canzoncina di qualche anno fa. Qualche secolo fa, invece, c’era chi sosteneva che per fare un topo bastassero un po’ di panni sporchi e del grano. Johannes Baptista van Helmont era il nome di costui, e forniva anche una ricetta precisa e dei tempi di maturazione (circa 21 giorni). Era uno dei casi più eclatanti di generazione spontanea: la creazione di materia vivente dall’inorganico, ogni volta che ci siano le giuste condizioni. In questo caso, era evidente il riferimento ad ambienti chiusi che in pochi giorni si riempivano di topi: magazzini, stive. La credenza nella generazione spontanea si è poi evoluta nel tempo, insieme alla conoscenza della natura. Pian piano, le creature generate spontaneamente si sono ridotte sempre più di misura: dai topi, agli insetti, fino agli esseri minuti studiati da Pasteur e dagli altri fondatori della microbiologia.

Il volume di Harris, che segue di due anni un altro volume di storia della biologia (“The Birth of the Cell”, 1999) ci fa da guida lungo diversi secoli di controversie sorte spontaneamente intorno ai problemi della generazione. Ma non è un saggio di storia delle idee, e pure l’argomento lo richiederebbe. Piuttosto, l’autore ci guida dentro i laboratori, alla base del metodo scientifico, là dove si fanno esperimenti e si mettono a confronto ipotesi. Dalle osservazioni microscopiche di Francesco Redi nel Seicento, a John Tyndall, è una storia di microscopi, di bottiglie di vetro, di brodi di coltura, di temperature, di filtri dei materiali più diversi, con incursioni in diverse aree della scienze della vita. Marcello Malpighi per esempio, discute la generazione degli insetti nell’ambito di studi anatomici sulle piante. Mentre in tempi più recenti sono stati gli agenti patogeni a sollevare il maggior numero di interrogativi. Pasteur è forse l’esempio più noto, ma è molto interessante e in parte nuova la ricognizione che Harris fa delle influenze profonde che sul francese hanno agito. In particolare, Harris segnala lo sconosciuto italiano Agostino Bassi come uno degli scienziati più importanti e originali nell’ambito dello studio del contagio infettivo tramite microrganismi.

Meno trattate sono invece le credenze extrascientifiche che accompagnarono la questione. Lungi dall’essere credenza nel miracolo, la generazione spontanea è stata per lungo tempo argomentazione atea e materialistica: di fronte all’ignoto e invisibile processo di procreazione dei microrganismi, la risposta religiosa era un facile approdo. Mentre l’ipotesi di una nascita dal nulla dell’inorganico, senza creazioni intelligenti di alcun tipo, risultava in contrasto con la credenza in un dio creatore. Il racconto di Harris, pur estremamente avvincente e godibile, rimane però un po’ sterile, senza mai perseguire i pur numerosi spunti interessanti possibili. D’altro canto, anche la storiografia viene in qualche modo sottovalutata per scelta deliberata. Harris fa un uso minimo delle fonti secondarie, nonostante la generazione spontanea sia stata oggetto di numerosi studi nel corso degli anni. Ciò va a scapito della comprensione, mancando una collocazione precisa nel contesto scientifico, ma l’estensione temporale del volume avrebbe comunque richiesto troppo spazio. Il volume non può quindi costituire lettura isolata, per quanto sia chiaro, decisamente introduttivo e semplice nella scrittura. Interessante, anche se discutibile, è anche l’ultimo breve capitolo, apertura sul presente fatto di elementi chimici che si incontrano ed autorganizzano a formare amminoacidi, proteine e poi acidi nucleici autoreplicanti. L’origine della vita sulla Terra non è sicuramente una generazione spontanea, improvvisa e diretta come quella di van Helmont. Ma, cambiati teorie, pratiche e contesti, la spirale della storia sembra essere tornata su sé stessa.

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