Una malattia negletta

Farmaci, supporto psicologico e procedure palliative non invasive. Basterebbero questi accorgimenti per sollevare il 90 per cento dei pazienti oncologici dal dolore che li accompagna. Soprattutto i malati terminali, prostrati dalla sofferenza fisica oltre che da quella morale. E costretti, sempre nel 90 per cento dei casi, a non poter ricevere a domicilio le cure di cui hanno bisogno. Un quadro sconfortante che esce dall’ultimo rapporto della Lega Italiana Lotta ai Tumori (Lilt) discusso in occasione della presentazione degli Stati Generali dei malati di tumore, mercoledì 9 ottobre scorso alla presenza del Presidente della Camera Pierferdinando Casini e del ministro della Salute Girolamo Sirchia. “E se il dolore fosse curato in maniera soddisfacente”, ha affermato Francesco Schitulli, presidente della Lilt, “si ridimensionerebbe anche il ricorso all’eutanasia”. L’idea è chiara e quasi banale: garantire a chi sta morendo di farlo con dignità, senza sofferenza. Una strada intrapresa a fatica in Italia con la legge 39 del 1999 promossa dall’allora ministro della sanità Umberto Veronesi, che, tra l’altro, prevedeva finanziamenti per la realizzazione di Hospice, strutture specializzate proprio nella cura di malati terminali. Una vera novità nel nostro territorio visto che nel 2000 l’Italia poteva offrire 0,08 posti letto di questo tipo ogni 100 mila abitanti, contro i 5,5 della Gran Bretagna. Ma il dolore non è solo quello oncologico: ben il 45,3 per cento degli italiani afferma di soffrirne da più di un anno. Non solo episodi acuti, ma situazioni croniche. Basti pensare a mal di testa, mal di schiena e malattie reumatiche. Chi ne soffre inoltre ha la precisa sensazione di non potersi opporre allo stato dei fatti: dall’ultima rilevazione del Tribunale dei diritti del malato, infatti, risulta che il 31,3 per cento dei cittadini italiani non sa a chi rivolgersi per ottenere diagnosi e terapie adeguate quando il sintomo è il dolore cronico, mentre il 19,6 per cento non ritiene sufficiente l’attenzione del proprio medico curante rispetto al sintomo dolore. Eppure proprio questa figura è importante nel miglioramento della qualità della vita dei cittadini. “Per questo abbiamo voluto investire in formazione specifica su questo argomento”, ha affermato Mario Falconi, segretario nazionale della Federazione Italiana Medici di Famiglia, presentando la neonata SIMeF, Società Italiana Medicina di Famiglia. Che ha fra le sue priorità proprio quella di incentivare la conoscenza del dolore cronico come malattia fra i medici di famiglia.Già, perché in molti casi si tratta di una vera patologia. E non solo di un sintomo. “In questo ultimo caso il dolore ci avverte che qualche evento patologico si sta sviluppando nel nostro organismo, è un campanello d’allarme”, ha spiegato Cesare Bonezzi, responsabile dell’unità di cure palliative e terapia del dolore della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia. Esso quindi scompare quando si debella la malattia a cui è correlato. “Nei casi invece in cui non è individuabile una causa scatenante allora il dolore va trattato come una vera patologia”. Come nelle neuropatie, nell’arto fantasma, nella nevralgia trigeminale, nella cefalea o nel mal di schiena cronico. Situazioni in cui la somministrazione del farmaco può migliorare la qualità della vita ma non è risolutivo: bisogna prendersi cura di ogni aspetto della disabilità, da quello psicologico a quello funzionale.E qui si tocca un’altra nota dolente: il personale qualificato. Gli anestesisti scarseggiano negli ospedali, mentre psicologi e assistenti sociali molto spesso non hanno un dialogo con i servizi sanitari. Solo un terzo dei comuni italiani, a cui fanno capo i servizi sociali, ha infatti integrato i propri uffici con quelli ospedalieri. Garantendo così un miglior servizio. A questo proposito il ministro Sirchia propone la creazione di un nucleo di assistenza esterno agli ospedali formato da personale misto qualificato (Asl e comune) che prenda in cura un malato e che lo segua a domicilio. Un’idea accolta con entusiasmo dalle famiglie interessate ma che dovrà scontrarsi con la scarsità di risorse da destinare alla sanità. Basti pensare che, a due anni dall’approvazione, il finanziamento previsto dalla legge Veronesi per l’istituzione di un corso di formazione sulla terapia del dolore è ancora oggetto di contrattazione presso la Conferenza Stato-Regioni.

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