Uno sguardo alle origini

Disegnare la mappa delle radiazioni emesse dall’Universo ai suoi esordi. Per comprenderne meglio la natura. È questo, in sintesi, lo scopo di molte delle ricerche di cosmologia svolte negli ultimi anni. Un contributo importante è arrivato da Archeops (dal greco: “uno sguardo alle origini”), un pallone stratosferico con a bordo un telescopio molto sensibile che ha viaggiato il 7 febbraio scorso, nel buio della notte artica, sopra Svezia, Finlandia, Russia e Siberia per 24 ore. I risultati di quell’escursione ad alta quota sono ora disponibili e svelano particolari importanti per la comprensione della storia e dell’evoluzione del cosmo. Il primo: nell’Universo “vige” la geometria euclidea, ovvero vale la regola per cui due raggi di luce che partono in due punti diversi partono paralleli tra loro non si incontrano mai. I dati raccolti sono considerati molto affidabili, poiché si riferiscono a raggi cosmici che hanno viaggiato per ben 14 miliardi di anni-luce, dunque anche una piccola curvatura ne avrebbe modificato la traiettoria significativamente.Frutto della collaborazione tra Francia, Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna, Archeops ha registrato, fra le radiazioni provenienti dal cosmo, solo le microonde, che compongono il cosiddetto “fondo cosmico”, e sono una testimonianza diretta dei suoi esordi. “La radiazione di fondo è quanto di più vicino al Big Bang si possa oggi rivelare: ci dice com’era l’universo a circa 300 mila anni dal momento iniziale”, spiega Paolo de Bernardis, che dirige il team di ricercatori italiani. “Per andare più indietro bisognerebbe rilevare i neutrini o le onde gravitazionali di origine cosmologica, ma non siamo in grado di farlo. Tuttavia nel fondo cosmico resta impresso anche il risultato di quello che è successo prima della sua formazione”. L’esperimento ha così consentito di realizzare la più ampia mappa mai messa a punto della radiazione di fondo corrispondente a circa il 30 per cento del cielo, contro i pochi punti percentuali rilevati dagli esperimenti precedenti, aprendo la strada, così, ai progetti Map (della Nasa) e Planck (dell’Agenzia spaziale europea) che forniranno una mappa di tutto il cielo rispettivamente nelle microonde (pronta fra un anno) e in tutte le lunghezze d’onda (nel 2007). Il contributo italiano all’impresa è stato rilevante: un team di ricercatori del gruppo di Cosmologia applicata de La Sapienza di Roma e dell’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del Cnr di Firenze, grazie al finanziamento dell’Agenzia spaziale italiana, ha costruito la navicella, il sistema che la fa ruotare durante il volo, permettendo l’osservazione di un’ampia regione di cielo, e il sensore stellare, che permette la ricostruzione accurata della regioni di cielo osservate istante per istante.E il segreto di Archeops è proprio la tecnologia innovativa. L’apparato ha viaggiato ruotando sul suo asse – un giro completo ogni trenta secondi – per orientare il rivelatore in tutte le direzioni e scandagliare così la parte del cielo più grande possibile. Ma per farlo sono state sviluppate delle tecniche particolari che hanno consentito le misurazioni anche in presenza del movimento. “Queste conoscenze non rimangono nel circuito della ricerca”, chiarisce de Bernardis. “I rivelatori che sviluppiamo, così precisi per osservare il cielo, potrebbero essere rivolti verso la Terra per misurare variazioni climatiche, incendi e per la diagnostica medica. Per elaborare i dati (estrarre il “segnale” dal “rumore”) si sviluppano strumenti informatici molto potenti, e anche le tecnologie ottiche hanno applicazioni significative”. Oltre alla forma dell’Universo, Archeops ha fornito indicazioni sul suo contenuto: la determinazione della curvatura assegna infatti un valore a uno dei parametri che compaiono nelle equazioni relativistiche che descrivono l’Universo. E attraverso queste si riesce a calcolare la quantità di energia totale contenuta nel cosmo. Il problema successivo è capire in che forma compare quest’energia. E questo è il secondo risultato dell’esperimento: solo il 5 per cento si presenta nella forma di materia “normale”. Ciò che resta si compone di materia ed energia “oscure”: “E’ una conferma indipendente e importante di quanto avevamo trovato due anni fa con Boomerang: il nostro Universo ha una strana composizione, e si deve ancora lavorare molto, sia sperimentalmente che teoricamente, per comprenderlo”, conclude de Bernardis.

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