Per una cultura del dolore

In Italia la terapia del dolore è poco praticata: il consumo di farmaci oppioidi è tra i più bassi in Europa. Secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità il dolore severo nei pazienti ricoverati in ospedale sarebbe trattato in maniera adeguata solo nel 40-50 per cento dei casi e solo l’8 per cento degli anestesisti prescrive gli oppioidi per il controllo nel periodo post-operatorio. Eppure il dolore, soprattutto se cronico, è ormai considerato una vera malattia. Non solo sintomo quindi, ma causa scatenante di alterazioni dell’organismo. Come quelle rilevate da alcuni ricercatori dell’Università di Helsinki nelle zone della corteccia cerebrale specializzare nella percezione sensoriale e nel controllo dei movimenti. E come patologia andrebbe curata. “Ma in Italia, anche avendo gli strumenti, non c’è la cultura adatta”, afferma Domenico Gioffrè, del Tribunale dei diritti del malato di Pisa che ha organizzato per il prossimo 4 febbraio il convegno “Le vie del dolore sono infinite” all’Auditorium del Cnr di Pisa. “Sarà un itinerario medico, antropologico, religioso e filosofico perché la cura del dolore prima che una pratica medica dovrebbe essere un’esigenza culturale”.Le sensazioni dolorose accompagnano la vita di ogni essere umano. E anzi sono fondamentali per la sopravvivenza di ognuno, tanto che chi soffre di analgesia naturale, non prova cioè dolore, è in costante pericolo di vita. “Ma i pazienti devono capire che il dolore non è il prezzo naturale da pagare quando si è malati”, va avanti ancora Gioffrè. “Sopportare in silenzio è spesso associato a una dimostrazione di forza, come nei riti di iniziazione tribale”. A Pisa per parlare della cognizione del dolore e della sua dimensione antropologica e storica interverranno nomi di tutto rispetto: Remo Bodei, ordinario di Storia della filosofia all’Università di Pisa, Chiara Frugoni, ordinario di Storia medievale all’Università La Sapienza di Roma e Luigi Maria Lombardi Satriani, ordinario di etnologia sempre presso l’ateneo romano. Alla parte umanistica del convegno – coordinata da Sergio Zavoli, che nel 2002 ha pubblicato per Garzanti il libro “Il dolore inutile. La pena in più del malato” – verrà affiancata una discussione di carattere scientifico-sanitario. “Ai passi da giganti compiuti dalla farmacologia nel trattamento del dolore negli ultimi decenni, non sono corrisposti avanzamenti paragonabili nella formazione dei medici, e all’orizzonte non si vede un cambiamento di rotta”, sottolinea il direttore dei lavori. Per questo intorno al tavolo di discussione si siederanno Gian Luigi Gessa, ordinario di neuropsicofarmacologia all’Università di Cagliari, Mario Falconi, segretario generale della Federazione italiana medici di famiglia e Vittorio Ventafridda dell’Istituto europeo di oncologia di Milano. La pluralità delle voci chiamate a intervenire vuole essere quindi il valore aggiunto di questo evento che si colloca all’interno della campagna nazionale “Aboliamo i dolori forzati” portata avanti dal Tribunale dei diritti del malato per sensibilizzare il più vasto numero possibile di cittadini, siano essi pazienti o operatori sanitari, sulla terapia del dolore. La semplificazione delle procedure per la prescrizione degli oppioidi voluta da Umberto Veronesi, per esempio, è a oggi poco sfruttata dagli stessi medici. “Purtroppo questa è la dimostrazione che la legge non basta, era necessario organizzare anche una campagna di informazione per il personale sanitario”, spiega Gioffrè. L’interesse dimostrato dall’ex ministro della sanità sembra in parte condiviso anche da quello attuale, Girolamo Sirchia, che più volte ha dichiarato l’opportunità di favorire la terapia del dolore in Italia. “Eppure sotto la sua gestione non è stato più riunito il gruppo di studio sulla terapia del dolore voluto da Veronesi”, aggiunge il dirigente del Tdm. Sul fronte della realizzazione degli hospice – le strutture di degenza pensate per i pazienti terminali improntate alla cura del dolore -, infine, si è registrato a settembre scorso il pagamento dell’ultima tranche di finanziamenti dello Stato. Ora la delega è passata alle regioni. Ma anche se tutti i posti letto finanziati venissero realizzati l’Italia si passerebbe dagli attuali 0,08 posti letto per 100 mila abitanti a 3,5. Comunque lontani dai 5,5 che oggi si contano per esempio in Gran Bretagna.

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