A Sellafield i conti non tornano

La centrale nucleare di Sellafield, nella West Cumbria, è la più grande del Regno Unito. Qui ogni giorno oltre 10 mila persone lavorano al riprocessamento del combustibile nucleare usato da altre centrali in tutto il mondo. Qualche giorno fa, però, qualcosa deve essere andato storto. Al sistema di contabilità dell’impianto, infatti, sono venuti a mancare 29,6 chilogrammi di plutonio, secondo quanto emerso dalla revisione annuale sulla gestione del sito effettuata dall’autorità britannica per l’Energia Atomica (Ukaea) incaricata di tenere il conto del materiale in entrata e in uscita da ogni centrale. La notizia, riportata dal “The Times”, non è da poco: il quantitativo di plutonio, infatti, è sufficiente a costruire sette o otto bombe atomiche dagli effetti devastanti e sono in molti a chiedersi se sia stato sottratto illegalmente. Non si scompone, però, il British Nuclear Group (Bng), la società che gestisce il sito, che definisce la perdita “virtuale” e non reale. Durante la complessa lavorazione del materiale radioattivo, infatti, una parte di plutonio sarebbe destinata a perdersi, ma resterebbe sempre nella centrale. Un problema di contabilità, dunque, se non fosse che la Sellafield è recidiva. Anche nella revisione dell’anno precedente mancavano all’appello 19 chili di plutonio, per un totale in dieci anni di 50 chili di materiale nucleare. Oltre che 16,4 chili di uranio impoverito. Ma anche per l’Autorità che ha fatto la scoperta sembra essere tutto nella norma. Il materiale mancante dai calcoli del 2003/2004, dicono gli esperti, è in quantità inferiore agli standard internazionali di accuratezza previsti per impianti del genere. Equivale solo allo 0,1 per cento di tutto il materiale trattato dalla centrale ed è al di sotto del limite standard fissato al 3 per cento. Sufficiente, però, a destare preoccupazioni sui sistemi di controllo e di sicurezza degli impianti di ritrattamento del combustibile nucleare. “Ciò che preoccupa è che le tecnologie usate in questi impianti non danno certezze sulla quantità di materiale che si recupera dalla lavorazione”, spiega Roberto Ferrigno, direttore campagne di Greenpeace Italia. “Ma anche le numerose infrazioni delle misure di sicurezza commesse a Sellafield, dove sono avvenute intromissioni di estranei e furti vari”. Quando le barre di carburante arrivano a Sellafield vengono lasciate raffreddare in acqua per circa quattro anni prima di essere trattate. Poi vengono dissezionate in ambienti sigillati e sciolte nell’acido e dalla loro lavorazione escono tre elementi: uranio, plutonio e scorie ad alta radioattività. L’uranio derivante viene arricchito e riutilizzato come combustibile nelle centrali nucleari, mentre il plutonio viene usato prevalentemente per scopi militari, vero obiettivo del riprocessamento secondo gli attivisti. “Esiste la possibilità che il plutonio finisca in mani pericolose”, continua Ferrigno, “Può essere utilizzato per costruire ordigni nucleari ma anche bombe sporche che avrebbero conseguenze minori ma sempre devastanti”. Entro il 2007 arriveranno a Sellafield anche 70-80 carichi provenienti dall’Italia, come previsto dal decreto Marzano del 2 dicembre 2004 con il quale il governo ha deciso di esportare le 235 tonnellate di combustibile ancora stoccate negli impianti nucleari di Trino Vercellese, Saluggia e Caorso. “Questi trasporti sono rischiosi per l’ambiente e per la salute umana”, ha spiegato Ferrrigno, “Il riprocessamento, inoltre, produce una grave contaminazione della zona circostante all’impianto, dove infatti è alta la percentuale di leucemie, e l’inquinamento delle spiagge e del mare di Irlanda”. La soluzione scelta dall’Italia, inoltre, non risolve il problema ma lo rimanda. “Il combustibile irraggiato, infatti, non viene stoccato definitivamente e dopo 20 anni i rifiuti devono tornare al legittimo proprietario”, conclude Roberto Ferrigno. “E dato che l’Italia non ha centrali nucleari attive, l’uranio e il plutonio prodotti dal riprocessamento resterebbero all’estero mentre a fare ritorno sarebbero le scorie più radioattive, per le quali deve essere ancora individuato un sito di deposito”. Eppure un’alternativa ci sarebbe secondo Greenpeace. Si tratta dello stoccaggio a secco del combustibile esausto, che renderebbe inservibile il plutonio contenuto nelle barre, eviterebbe l’emissione in acqua e in aria di elementi radioattivi derivanti dal riprocessamento e il trasporto di materiale pericoloso.

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