Alla base dell’istinto

Le decisioni, anche quelle che crediamo più logiche, non derivano solo da ragionamenti sensati e attente riflessioni. L’istinto ci mette sempre lo zampino, e non è solo una questione “di pancia”: la deviazione dalla razionalità ha una spiegazione neurologica. Quando è il momento di scegliere l’amigdala, la regione del cervello deputata all’elaborazione delle emozioni, gioca un ruolo fondamentale.

Così come ha dimostrato lo studio condotto da Benedetto de Martino del dipartimento di Imaging Neuroscience dell’Istituto di Neurologia dell’University College di Londra, pubblicato su Science. Secondo la teoria del decision-making quando il nostro cervello deve effettuare delle scelte fa ricorso a operazioni analitiche. In realtà è dimostrato che quando le informazioni a disposizione sono incomplete o troppo complesse, gli individui si basano su semplificazioni intuitive e su regole empiriche e approssimative.

In particolare, le nostre scelte possono essere fortemente influenzate dal modo in cui ci vengono presentate le diverse possibilità (framing effect). Dimostrare che esiste una base fisiologica delle scelte emotive scardinerebbe la teoria del decision-making. Proprio quello che hanno contribuito a fare i ricercatori inglesi.L’esperimento ha coinvolto venti tra studenti e laureati in una sorta di gioco d’azzardo mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI). Ai partecipati è stato comunicato l’ammontare di soldi (50 dollari) che avrebbero potuto vincere. Quindi è stato loro chiesto di effettuare una scelta in due diversi contesti.

Nel primo (schema di guadagno) dovevano scegliere di guadagnare 20 dollari a fronte dei 50 o di rischiare tutto avendo però una più alta probabilità di perdere che di vincere. Nel secondo (schema di perdita) dovevano scegliere di perdere 30 dollari dei 50 o, anche in questo caso, di giocarsi tutto con le stesse probabilità dello scenario precedente. I due schemi non differiscono nella sostanza, ma nel modo in cui sono presentati. Il contesto si è rivelato molto importante nell’indirizzare la scelta: i partecipanti hanno rischiato significativamente di più nello schema di perdita che nello schema di guadagno (61,6 per cento nel primo caso, 42,9 per cento nell’altro). In accordo con le previsioni dei ricercatori, quindi, i soggetti si sono mostrati meno propensi a rischiare quando veniva usata la parola “guadagno”, rispetto a quando veniva loro prospettata l’idea della perdita. “Grazie alle scansioni della risonanza”, spiegano gli autori dello studio, “siamo riusciti a identificare le aree del cervello che erano più attive quando i soggetti sceglievano secondo il framing effect (per esempio non rischiando nello schema di guadagno e rischiando nello schema di perdita) e abbiamo registrato una significativa attivazione bilaterale dell’amigdala.

Un differente pattern di attivazione delle aree del cervello è stato osservato quando i soggetti prendono decisioni che vanno contro la loro tendenza generale. In questi casi abbiamo osservato un’elevata attività nella corteccia cingolata anteriore (Acc)”. Quando si sceglie di andare contro la propria intuizione, l’attività della Acc indicherebbe un’opposizione tra due sistemi neurali: un conflitto tra la tendenza a rispondere analiticamente e quella a rispondere più emotivamente.

Considerando la variabilità individuale alla sensibilità della manipolazione, i ricercatori hanno anche calcolato un indice della razionalità personale e hanno trovato una significativa correlazione tra una minore influenzabilità e l’attività nella corteccia orbitale e medio-prefrontale (Ompfc): chi agisce più razionalmente mostra una maggiore attività in questa zona.Lesioni dell’Ompfc, infatti, causano l’incapacità di elaborare strategie comportamentali e impulsività. Si pensa che l’Ompfc integri le informazioni provenienti dall’amigdala e tenti di prevedere i risultati che avrà un certo comportamento.“La nostra ricerca”, concludono gli autori, “suggerisce un modello in cui le informazioni emotive si integrano nei processi decisionali. In termini evoluzionisti, questo meccanismo potrebbe conferire un vantaggio dal momento che segnali non espliciti possono rivelarsi fondamentali. Questo sembra tanto più vero nella nostra società attuale basata su simboli e dove per prendere decisioni è spesso richiesta capacità di astrazione, secondo quello stesso meccanismo che potrebbe essere tradursi in una scelta irrazionale”.

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