L’epidemia si cura col Dna

Come un investigatore che sa decifrare le tracce lasciate dal killer sulla scena del delitto, Matteo Garbelotto, professore associato all’Università della California di Berkeley, viene chiamato per scoprire quali siano le cause delle epidemie che colpiscono foreste, boschi o piantagioni. Dalla California alla pineta di Castelporziano, sul litorale romano, dal Messico alla Polinesia, Garbelotto, che è consigliere per la sicurezza fitosanitaria di diversi governi, da quello americano a quello canadese, corre al capezzale di piante malate e cerca di salvarle mettendo a punto trattamenti e test diagnostici ad hoc. Per aumentare le frecce al suo arco e fornirsi di strumenti sempre più efficaci, Garbelotto ha ora iniziato un progetto di mappatura genetica della più vasta collezione italiana di funghi – una delle maggiori d’Europa – in collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Venezia. A lui abbiamo chiesto di spiegare qual è il significato della schedatura genetica e quali orizzonti apre per le sue ricerche.

Professor Garbelotto, perché è importante conoscere il patrimonio genetico dei funghi?

“Perché i funghi sono fondamentali per la sopravvivenza degli umani, visto che lo sono per quella delle foreste, senza le quali noi non potremmo vivere. Ovviamente ce ne sono di necessari per la vita di alcune piante, con le quali vivono in simbiosi, e di tossici e nocivi, che ne provocano la morte. La foresta di Cortina, per esempio, può vivere grazie a un centinaio di funghi; mentre nel caso della pineta di Castelporziano abbiamo dimostrato che un solo agente mette a repentaglio l’intero patrimonio boschivo. Quando nel 2000 studiavamo il caso delle querce californiane gravemente malate siamo riusciti a identificare, ad occhio, 10-15 funghi, ma poi analizzando il terreno, dove i funghi unicellulari sono presenti in grandi quantità, abbiamo capito che ce ne erano almeno altri 150 tipi diversi. Da qui nasce l’idea di una banca genetica micotica: un database che i ricercatori possano usare per confrontare i campioni che trovano e capire quali specie di funghi abbiano davanti”.

Come mai la sua scelta è caduta sulla collezione del museo veneziano?

“È stato un caso. Stavo cercando una collezione che soddisfacesse a pieno le nostre esigenze ma, sebbene in Europa ce ne siano di più grandi, quella di Venezia è unica perché è tutta catalogata: sono presenti 28.000 specie le cui descrizioni minuziose sono state archiviate su supporto elettronico. Un patrimonio davvero importante che copre il 90 per cento dei funghi presenti in Europa e che ci consentirà di mettere a confronto le descrizioni classiche con le informazioni genetiche. Con ogni probabilità scopriremo così che esemplari che si assomigliano molto appartengono in realtà a specie anche molto distanti fra loro o, al contrario, che funghi con fenotipo diverso hanno in realtà un genotipo simile”.

Quanto ci vorrà per completare il lavoro?

“Come nel caso del genoma umano si procede su porzioni: per ogni specie e sottospecie analizziamo un campione per un totale di 6-7 mila mappature. Questo primo lavoro sarà finito entro l’anno. Poi però dovremo aggiungere la notazione, senza la quale l’informazione avrebbe poco senso. Per il 2008 pensiamo di poter rendere accessibile ai ricercatori il nostro database, successivamente passeremo tutti i dati su quello di Washington, il più importante a livello mondiale”. 

Con questo nuovo strumento sarà più facile scoprire qual è la causa delle epidemie che colpiscono le piante?

“Certamente. Per scoprire l’agente che ha causato la morte delle querce in California, e che ha devastato 400 chilometri di costa, ci sono voluti 10 anni. Solo grazie alla mappatura genetica è stato  possibile capire che si trattava di un organismo, la Phytosphora ramorum, che colpisce alcuni rododendri asiatici, nei quali causa danni limitati. Portato negli Usa attraverso i vivai, questo fungo ha invece sterminato migliaia di querce. Mai si sarebbe pensato che una malattia del rododendro potesse colpire le querce, lo abbiamo potuto scoprire solo grazie alla genetica. Ora le piante che arrivano dai paesi asiatici prima di essere messe in commercio devono stare in quarantena e sugli esemplari vanno eseguiti dei test. Grazie ai nostri studi, sia gli Usa sia l’Unione Europea hanno introdotto per legge il kit diagnostico contro questo fungo”.

Una volta identificata la causa della malattia è possibile trovare la terapia adatta?

“In realtà individuare il patogeno e la sua via di entrata in un determinato territorio ci consente di limitare il fenomeno o di prevenirlo, per esempio con test adeguati o con la quarantena. Più difficile è trovare la soluzione per le piante già malate. Nel 2003 abbiamo sviluppato un trattamento per alberi che stimola la difesa naturale delle piante che è stato adottato dalla California: si spalma sulla corteccia da dove entra nella pianta e va a innalzare la produzione delle sostanze tossiche naturalmente prodotte dalle piante stesse contro alcuni patogeni. Un metodo che funziona nell’80 per cento circa dei casi”.

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