Balene (poco) sicure

L’attesa è stata lunga: a più di sette anni dalla sua istituzione e a oltre cinque anni dalla legge di ratifica, il Santuario dei cetacei avrà finalmente un domicilio ufficiale. Lunedì 16 aprile, presso il Palazzo Ducale di Genova, si inaugura la sede del segretariato generale di Pelagos, la prima area protetta d’alto mare del Mediterraneo. All’evento, tra gli altri, il ministro dell’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, il direttore generale della Direzione protezione natura (nonché presidente del comitato di pilotaggio del Santuario), Aldo Cosentino e, ovviamente, il segretario esecutivo Philippe Robert. L’idea di una riserva protetta nel bacino corso-liguro-provenzale, promossa dall’ong Tethys Institute – e in particolare dal suo presidente di allora, Giuseppe Notarbartolo di Sciara – risale al 1991. Nel ’98 il governo italiano approvò la richiesta dell’istituzione di un’area di alto mare per la tutela della biodiversità e dei cetacei, e la inviò ai governi di Francia e Principato di Monaco. L’accordo internazionale fu poi firmato dai tre stati nel 1999, e nel 2001 venne emessa la legge di ratifica ed esecuzione dell’accordo, in vigore dal febbraio del 2002.

Ma quali saranno i benefici per i cetacei che vivono nel mare Nostrum? Al momento pochi, anzi nessuno. Come si traduce infatti il santuario nella pratica e nella tutela delle specie a rischio? Cosa differenza il bacino protetto dal resto del Mediterraneo, dal momento che il Santuario si trova in acque internazionali ed è fondamentale per il traffico marittimo? Addirittura uno studio pubblicato sul Marine Pollution Bulletin e condotto da Simone Panigada dell’istituto Tethys e dal neoformato comitato tecnico scientifico di Pelagos, rivela che oltre l’80 per cento delle collisioni con la Balenottera comune avvengono proprio nelle acque del Santuario. In Spagna, per far fronte allo stesso problema, hanno imposto il rallentamento dei traghetti super veloci che attraversano lo stretto di Gibilterra nel senso nord-sud, fino a una velocità massima di 13 nodi. “La pubblicazione del nostro lavoro, che è firmato da ricercatori italiani e francesi che cooperano, è antecedente alla risoluzione spagnola”, commenta Simone Panigada, “La velocità è uno dei fattori dominante delle collisioni e della morte dei cetacei. Si sono individuate le zone più a rischio che, per il capodoglio per esempio, non sono molto vaste. Il compito dei ricercatori sta nello studiare delle misure di mitigazione e nel portare questi temi all’attenzione dei politici”.

Politica che però finora ha fatto ben poco. Anche per oggettive difficoltà. Si tratta di acque internazionali: esiste una legge internazionale che obbliga i paesi bagnati da un mare chiuso a tutelarlo, ma questo vale per tutto il Mediterraneo. “Il valore aggiunto per il santuario”, spiega Giancarlo Lauriano dell’Icram (Istituto centrale per la ricerca applicata al mare) e anch’egli membro del comitato tecnico scientifico, “è una serie di intenti comuni che si dovrebbero tradurre in leggi nei tre stati membri”. Leggi che al momento non sono state ancora approvate. “Il Santuario”, ammette infatti Lauriano, “non comporta nessuna limitazione ma richiede una maggiore attenzione da parte degli stati che devono tener conto delle indicazioni internazionali. C’è la volontà di coordinare i vari progetti di ricerca, anche se in un’area così vasta non è semplice”.

Una difficoltà ammessa anche da Philippe Robert: “In realtà siamo solo all’inizio, è la prima volta che si fa un’azione concertata tra tre stati ed è molto difficile coordinarsi, soprattutto perché non abbiamo un modello. Il nostro è un progetto pilota, la partenza è stata difficile, ma in questi ultimi nove mesi abbiamo fatto moltissimo ed è stato approvato il piano di gestione”. Insomma qualche speranza per il futuro c’è, anche se il presente non è certo dei più rosei.

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