Gli ogm visti dai coltivatori

Gli organismi geneticamente modificati (ogm) sono un tema caldo soprattutto per quanto riguarda le questioni della sicurezza e dei brevetti. Tuttavia nessuno sembra essersi chiesto finora cosa ne pensano gli agricoltori che li devono coltivare. A colmare in parte la lacuna hanno provveduto ora i ricercatori della Open University (OU) (la prima università a distanza, con sede in Gran Bretagna) che, grazie a un progetto della Economic and Social Research Council (Esrc), hanno condotto la prima indagine sistematica su pareri e tendenze dei diretti interessati nel Regno Unito. “Sappiamo bene ormai cosa pensano i consumatori, i vari governi e le industrie alimentari”, si legge nella presentazione della ricerca, “ma questa è la prima volta che si prendono in considerazione anche le opinioni dei coltivatori”.

Lo studio, condotto da Andy Lane, direttore dell’Open-learn all’OU), ha preso in considerazione vari settori dell’agricoltura, coinvolti nella coltivazione di piante geneticamente modificate e non (ad eccezione di quelli che si occupano di prodotti prettamente biologici). Lane e colleghi hanno intervistato in tutto 30 coltivatori inglesi e 22 membri di un network sul tema ogm, composto da ricercatori e agricoltori. In ciascun settore, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di considerare le biotecnologie come una semplice estensione delle tecniche di produzione di nuove piante. La ricerca ha evidenziato che gli agricoltori inglesi non si chiedono se produrre ogm sia “giusto” o “sbagliato” in via di principio, ma sono piuttosto interessati a capire le potenzialità di queste nuove piante, le tecniche e il profitto che ne può derivare per le loro aziende. “Le nuove biotecnologie”, sottolinea Lane, “esercitano una forte attrattiva sugli agricoltori, interessati a nuove coltivazioni ad alta produttività che non richiedano un uso eccessivo di pesticidi”. E che quindi, in questo senso, abbiano un minor impatto ambientale.

I ricercatori hanno anche valutato quanto i coltivatori siano nella condizione di potersi informare circa gli sviluppi delle nuove tecnologie: la maggior parte delle loro conoscenze deriva da fonti informali, da sperimentazioni o da notizie condivise tramite network non necessariamente costituiti dai soli agricoltori, che possono coinvolgere persone anche molto distanti geograficamente. Molti degli intervistati disapprovano i tagli ai finanziamenti pubblici destinati ai servizi di consulenza e formazione, e ritengono che ci sia scarsa comunicazione tra gli agricoltori, le persone coinvolte nelle decisioni politiche e gli organismi di ricerca. (m.f.)

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