Cavatappi stellari

L’ipotesi su come avvenga l’emissione di particelle da parte delle cosiddette galassie attive è ora confermata dalle osservazioni astronomiche: l’enorme acceleratore cosmico responsabile del fenomeno è il grande buco nero che si trova nel loro nucleo.

Un buco nero è una stella collassata che a causa della sua enorme densità ha un’attrazione gravitazionale talmente elevata da non lasciar sfuggire neanche la luce. I cosiddetti buchi neri supermassicci sono una tipologia particolare di questi corpi celesti: hanno una massa eccezionale, compresa tra 1 milione e 1 miliardo di volte quella del Sole e si trovano al centro di galassie “attive” (galassie che emettono più onde radio del normale). Se era noto da tempo che l’emissione di radiazioni si origina proprio dal centro di queste galassie, finora non era chiaro in che modo questo accadesse.

Un team internazionale di astronomi, coordinato dall’Università di Boston, è ora riuscito a osservare uno di questi buchi neri situato al centro della galassia BL Lacertae, lontana 950 milioni di anni luce, con il Very Long Baseline Array (Vlba), il più potente radiotelescopio esistente, costituito da dieci antenne radio sparse in tutto il territorio degli Stati Uniti. E i risultati delle osservazioni confermano la teoria finora più accreditata su come avvenga l’emissione delle particelle.

Intorno al buco nero si trova il cosiddetto disco di accrescimento, in cui la materia attratta dal corpo si concentra prima di collassare per sempre su di esso. Gli scienziati hanno dimostrato la presenza di campi magnetici perpendicolari a questo disco che, per opera della gravità e della rotazione del corpo celeste, si attorcigliano su loro stessi, ora intrappolando, ora espellendo particelle, con una velocità prossime a quella della luce. Il Vlba ha permesso di individuare la posizione (proprio quella prevista dalla teoria) di questi campi magnetici a forma di cavatappi che espellono getti di materia e radiazioni: “Ora abbiamo una visione senza precedenti di questi getti”, afferma Alan Marscher, il coordinatore dello studio, “e abbiamo informazioni molto utili per capire come funzionano questi straordinari acceleratori di particelle”. (s.s.)

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