Se la trasparenza è optional

Otto volte su dieci i ricercatori che pubblicano studi sugli stent coronarici non dichiarano i rapporti di consulenza o di collaborazione con l’industria farmaceutica. A metterlo in evidenza è Kevin Weinfurt, membro del Duke Clinical Research Institute, che ha raccolto ogni articolo pubblicato nel 2006 riguardante, appunto, gli stent (le piccole strutture metalliche utilizzate nelle angioplastiche per dilatare le arterie e ridurre il rischio di futuri restringimenti).

L’indagine, pubblicata su Plos One, ha rilevato che l’83 per cento degli articoli – 746 studi in tutto, scritti da 2.985 ricercatori per 135 diverse riviste – non include alcuna dichiarazione di conflitto di interessi (disclosure). E dire che la comunità scientifica ha manifestato più volte perplessità sull’opportunità di avvalersi degli stent. Secondo gli autori questi dati sono il sintomo di un problema sistematico che crea gravi lacune nell’informazione per i pazienti e per i professionisti, privandoli della capacità di interpretare correttamente le ricerche.

Weinfurt si è detto allarmato da una percentuale tanto alta: “Abbiamo concluso la nostra informale ricerca via Web sugli autori che hanno espressamente dichiarato di non avere conflitti di interessi, appurando che alcuni di loro erano parte dei consigli d’amministrazione delle industrie degli stent, oppure erano consulenti delle aziende che producono farmaci legati all’uso di questi dispositivi. Un ricercatore aveva addirittura fondato un’industria che produce stent, ma pubblicamente non ne ha ancora mai parlato”.

Se due grandi organizzazioni di riviste scientifiche – l’International Committee of Medical Journal Editors e la World Association of Medical Editors – incoraggiano la pubblica dichiarazione degli interessi, molte altre riviste non richiedono la disclosure e, naturalmente, gli autori non dichiarano i conflitti spontaneamente. “In questo modo”, ha commentato Weinfurt, “il pubblico perde inevitabilmente fiducia nella ricerca e nella comunicazione scientifica”.

Sono stati appena 168 gli autori che hanno pubblicato una dichiarazione di conflitto d’interessi in almeno un articolo, di solito nelle riviste che rispettano le norme stabilite dall’International Committee of Medical Journal Editors. Le Cinque compagnie più frequentemente segnalate come finanziatrici sono la Johnson & Johnson, la Boston Scientific, la Medtronic, la Sanofi-Aventis e la Bristol-Myers Squibb, nei termini di sostegno alla ricerca (25 percento), forfait o diaria (17 percento), consulenza (15 cento).

Robert Califf, direttore del Duke Translational Medicine Institute e autore senior della ricerca, propone una soluzione: un archivio di notizie nel Web, simile in qualche modo a clinicaltrials.gov: “Un archivio pubblico delle relazioni con le industrie farmaceutiche potrebbe essere lo standard per appurare ogni conflitto di interesse”. (g.f.)

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