Terremoti: a cosa serve studiarli?

La prima domanda della sezione “domande e risposte” del sito dello U.S. Geological Survey National Earthquake è: “È possibile prevedere i terremoti?”, clicchi e appare la risposta: “No”, al di fuori da ogni polemica nostrana. La domanda è infatti la stessa che da ieri rimbalza da un media all’altro, a seguito del terremoto che ha colpito l’Abruzzo.

Ma allora a cosa servono le reti di monitoraggio, le stazioni di rilevamento dell’attività sismica e tutti gli studi? “Il primo scopo è quello di conoscere esattamente il rischio cui siamo esposti e pianificare, di conseguenza, misure ad hoc per ridurlo nel caso si verifichi un terremoto”, risponde a Galileo il geofisico William Ellsworth dell’Earthquake Hazards Team (U.S. Geological Survey), tra i responsabili dell’esperimento Safod (San Andreas Fault Observatory at Depth), in California (Vedi Galileo).

“Il tragico terremoto a L’Aquila ha distrutto molte costruzioni che si sarebbero potute salvare se si fosse intervenuti per ‘riequipaggiarle’ con sistemi antisismici”, continua il ricercatore: “Ciascuno di noi ha la possibilità di conoscere qual è il rischio che corre a seconda della zona in cui vive e della condizione della sua abitazione, e ciascun Comune dovrebbe garantire la propria autosufficienza per almeno tre giorni dopo il terremoto”. Secondo Ellsworth i proprietari delle case, i governi, gli scienziati e gli ingegneri possono e devono individuare gli edifici che rischiano di crollare e assicurare i servizi fondamentali (ospedali, vigili del fuoco, polizia, comunicazioni, un numero sufficiente di ricoveri, funzionamento della rete idrica ed elettrica), in un’emergenza la cui entità e i cui costi possono essere stimati. Non ultimo, è anche fondamentale creare una «cultura del rischio sismico» e preparare la popolazione.

Anche tra le Faq del sito dell’Istituto Nazionale di geofisica e vulcanologia (Invg) c’è la domanda circa la possibilità di prevedere i terremoti. Stessa linea: se per prevedere si intende l’anno, il mese, l’ora, il luogo e la magnitudo di una scossa futura la risposta è no. Ma sulla base della storia sismica, dell’assetto tettonico e geologico, è possibile definire la pericolosità del territorio e adottare le misure più adeguate per ridurne gli effetti. Inoltre, è possibile monitorare i cosiddetti “precursori sismici”, anomalie di alcuni parametri geofisici che spesso ricorrono prima dei terremoti (per esempio l’assenza di attività per un lungo periodo di tempo in un’area sismica, movimenti crostali, variazioni della velocità delle onde sismiche, del contenuto di gas radon nelle acque di pozzi profondi, del livello delle acque di fiumi e di laghi…). Così è possibile ottenere delle probabilità sugli intervalli di tempo tra due terremoti, sulle zone più a rischio, e sulla magnitudo. Ma – sottolinea l’Invg –  allo stato attuale delle nostre conoscenze si tratta di previsioni molto approssimative, che non possono essere utilizzate per allarmare la popolazione.

Non è tanto quindi la capacità di prevedere una scossa che fa la differenza, quanto quella di rispondere in maniera adeguata in termini di prevenzione e di assistenza una volta che il terremoto si è scatenato. Una differenza che si quantifica, tragicamente, in numero di morti.

 

La Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ha lanciato un appello per raccogliere i fondi per ricostruire la Casa dello studente e l’Università de L’Aquila, in modo da garantire la prosecuzione dell’anno accademico ai 27.000 studenti. Per chi volesse contribuire il conto si chiama UNIVERSITA’ EMERGENZA TERREMOTO e l’IBAN è IT 80 V 03226 03203 000500074995.

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