Sperimentazione animale, l’Europa delude le aspettative

Delusi, arrabbiati, pronti a dare battaglia. Il testo della Direttiva 86/609 sull’utilizzo degli animali negli esperimenti medici e scientifici licenziato da Bruxelles ha disatteso le aspettative delle associazioni e dei cittadini che si battono contro la vivisezione. Mentre la bozza del 2008 lasciava sperare in uno stop all’utilizzo di alcune specie, come le scimmie antropomorfe, nel corso dell’iter legislativo il testo ha perso pezzi importanti e le maglie si sono fatte molto più larghe. La protesta si è diffusa sui social network e nelle piazze, dove lo scorso 25 settembre gli animalisti hanno organizzato cortei in contemporanea in diverse città italiane per chiedere disposizioni più restrittive da inserire durante l’iter di recepimento della direttiva. Anche tra chi svolge ricerca scientifica non mancano le perplessità. 

Il nuovo testo lascia la porta aperta all’utilizzo in deroga di specie in via di estinzione, come primati e grandi scimmie, che invece gli animalisti avrebbero voluto eliminare dalla ricerca. Invariati rispetto alla prima versione del 2008 i punti riguardanti il trattamento degli animali: è prevista la soppressione per inalazione di anidride carbonica, che provoca alti e prolungati livelli di sofferenza, si possono effettuare esperimenti senza anestesia e riutilizzare più volte le cavie, si può sperimentare su animali vivi per scopi didattici. 

Tra le novità, quella più controversa riguarda la possibilità di utilizzare, sempre in deroga, animali di specie domestiche, come cani e gatti, catturati nel loro ambiente naturale. In Italia tale possibilità non esiste, visto che la cattura di randagi è vietata dalla legge 281/91 e dal d.lgs 116/92. Ma la norma appare quanto mai singolare anche dal punto di vista scientifico: “L’unico caso in cui in Europa si è fatto ricorso ad animali selvatici è nella sperimentazioni sulle scimmie, ma anche in questo caso si sta cercando di ricorrere sempre più agli esemplari da allevamento”, spiega Emanuela Testai, primo ricercatore del Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), e membro nel 2008 del gruppo di lavoro incaricato dalla Commissione europea di redigere un parere scientifico sull’utilizzo dei primati in laboratorio. “Nessun ricercatore farebbe mai test sui randagi: i dati ottenuti sarebbero del tutto inaffidabili perché è necessario che gli animali siano sani e incontaminati, come possono certificare gli allevamenti”. 

Vero è che, per utilizzare gli animali, i ricercatori devono sempre presentare una richiesta di autorizzazione e dimostrare che, per la loro sperimentazione, non esistono soluzioni alternative. “Se esistono linee guida Ocse su un metodo alternativo, si è obbligati a ricorrere a quello – spiega ancora Testai – ma il problema è a monte: nella serie di dossier tossicologici che per legge ogni azienda deve produrre per commercializzare una sostanza. L’uso di più del 90 per cento dei primati usati in Europa nella sperimentazione avviene sulla base di richieste regolatorie”.Per andare davvero verso le cosiddette 3R – replacement, reduction, refinement – servirebbe quindi dare un forte impulso ai metodi alternativi. Ma anche su questo punto il nuovo testo della direttiva lascia a desiderare. “La parte dedicata agli investimenti nell’educazione ai metodi alternativi e al benessere animale appare ridotta rispetto alla bozza precedente – sottolinea la ricercatrice – ed è sfumata anche la possibilità di creare centri di riferimento nazionali per i metodi alternativi collegati all’europeo Ecvam (European centre for the validation of alternative methods). Nonostante questo, è necessario che gli Stati Membri si impegnino a trovare dei punti di contatto con Ecvam, partendo dalle Piattaforme Nazionali che già esistono in vari paesi europei. In Italia abbiamo l’Ipam (Italian Platform on Alternative Methods)”.

Per fortuna, qualche nota positiva c’è. In alcuni campi, come quello cosmetico, si stanno facendo molti passi avanti verso il replacement: già dal 2013 si potrebbe assistere a una totale sostituzione delle cavie con i metodi in vitro. Infatti, molti dei test che hanno lo scopo di evidenziare un effetto topico, come quelli della corrosione di pelle e occhi, della fototossicità, dell’assorbimento cutaneo, sono stati validati da Ecvam. Questi metodi sono approvati sia dalla Commissione europea sia dall’Ocse, quindi la loro validità è riconosciuta anche fuori dall’Europa. Ciò significa che se un’azienda vuole commercializzare un prodotto in un paese Ocse, il test in vitro viene riconosciuto come valido e non deve essere ripetuto su animali. 

I maggiori progressi, però, vanno verso la reduction del numero di animali utilizzati. Nel campo di studi sulla bio-trasformazione, cioè su come le sostanze vengono trasformate dall’organismo, il ricorso a sistemi di screening in vitro può ridurre l’uso di roditori del 90 per cento. Qui danno una mano anche i modelli matematici: si possono fare previsioni sulla tossicità di una molecola sulla base della sua somiglianza strutturale con un’altra dagli effetti già noti.

Riferimento: Commissione europea

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