Api, la pappa reale modifica l’espressione dei geni

La pappa reale, con cui viene nutrita l’ape regina fin dallo stadio di larva, agirebbe a livello dell’espressione del Dna, apportando modifiche epigenetiche (cioè che non cambiano il codice genetico, ma stabiliscono quali parti di esso “accendere” o “spegnere”). Sarebbero queste modifiche determinare le sorti dell’insetto, differenziandolo da tutti gli altri esemplari dell’alveare. A suggerirlo è uno studio pubblicato su Plos Biology da un gruppo di ricercatori tedeschi e australiani guidato da Frank Lyko del German Cancer Research Center di Heidelberg.

Come è noto, infatti, la società delle api è costituita da due caste formate da individui incredibilmente diversi gli uni dagli altri, benché condividano lo stesso identico codice genetico. Le api operaie sono sterili e di piccole dimensioni, vivono poche settimane e si dedicano alla cura dell’alveare e alla ricerca del cibo; le regine, al contrario, sono molto più grandi, vivono alcuni anni e svolgono unicamente funzioni riproduttive. È convinzione condivisa che a determinare il destino di un’ape sia la dieta somministrata nello stadio larvale: le regine vengono nutrite abbondantemente con la pappa reale (anche da adulte), mentre le future operaie ricevono il prezioso nutrimento solo per i primi tre giorni, dopo di che si devono accontentare di polline e miele.

Per capire come la diversa alimentazione riesca a produrre differenze così evidenti, un gruppo di ricercatori tedeschi e australiani ha confrontato i genomi di regine e operaie, alla ricerca delle regioni di Dna che hanno subito delle modifiche (in particolare degli eventi di metilazione, una particolare modifica chimica capace di alterare il livello di espressione dei geni, agendo su di essi come una specie di interruttore). Il confronto ha rivelato quasi 600 geni che, nel cervello delle api, mostrano profili differenti nelle due caste.

Oltre a regolare finemente l’espressione genica, queste alterazioni chimiche indotte dalla dieta sarebbero in grado, secondo gli autori, di generare persino delle versioni alternative delle proteine. Tutto ciò potrebbe spiegare l’ampia gamma di differenze morfologiche e comportamentali che distinguono regine e operaie, oltre a suggerire, in un’ottica più ampia, una nuova chiave di lettura per lo studio delle interazioni tra i geni e l’ambiente.

Riferimento: doi:10.1371/journal.pbio.1000506 

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