Culturomics, la genomica applicata alla cultura

Per la sua affinità alla genomica, i ricercatori lo hanno denominato “culturomics”, vale a dire genoma culturale. Ora, dopo quattro anni di lavoro, i frutti di questo ambizioso progetto, nato dalla collaborazione tra Università di Harvard, Google, Encyclopaedia Britannica e American Heritage Dictionary, sono stati descritti in un articolo apparso sull’ultimo numero di Science. Si tratta di un set di dati estremamente potente, costruito a partire da 5,2 milioni di volumi e ben 500 miliardi di parole: pari a circa il 4% dei libri ad oggi pubblicati.
“Questo patrimonio digitale – spiegano gli autori – verrà utilizzato secondo criteri quantitativi ripresi, appunto, dalla genomica: servirà per studiare l’evoluzione di una serie di fenomeni culturali e storici, sulla base dei cambiamenti nella frequenza dei termini usati nel corso di secoli e decenni”. Con una metafora, è possibile paragonarlo a un “reperto fossile” della cultura umana, riportato in vita grazie alla digitalizzazione dei testi.

“L’interesse per gli approcci computazionali alle scienze umane e sociali risale agli anni Cinquanta”, ha detto Jean-Baptiste Michel, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia e Programmazione per le Dinamiche Evoluzionare di Harvard. “Finora, però, i tentativi di utilizzare i metodi quantitativi nello studio della cultura sono stati ostacolati dalla mancanza di dati appropriati. Adesso, grazie a questo lavoro, abbiamo un grande set di dati, disponibile tramite una interfaccia che è al tempo stesso facile da usare e disponibile gratuitamente a tutti”.

A realizzare questo strumento sono stati gli ingegneri di Google: essenzialmente si tratta di un’interfaccia che consente agli utenti di digitare una parola o una frase, per poi vedere come è cambiata la sua frequenza durante i secoli. “La culturomica estende i confini dell’indagine quantitativa a un ampio spettro di nuovi fenomeni nelle scienze umane e sociali”, ha aggiunto Erez Lieberman Aiden, l’altro autore dell’articolo. “Navigare tra questo patrimonio di dati è un’esperienza affascinante per chiunque sia interessato a capire ciò che ha interessato le persone nei secoli. Inoltre, speriamo che gli accademici delle discipline umanistiche lo trovino uno strumento utile ed efficiente”.

L’insieme dei dati digitali è migliaia di volte più grande rispetto a ogni altro corpus storico collezionato finora. Circa il 72 per cento del testo è in inglese, il resto si divide tra francese, spagnolo, tedesco, cinese, russo ed ebraico. Messe insieme, tutte le lettere compongono una sequenza 1.000 volte più lunga del genoma umano. Se tutti i caratteri venissero disposti in linea retta, si otterrebbe una linea pari a dieci volte la distanza tra il nostro pianeta e la Luna. “Ora che una frazione significativa dei libri del mondo è stata digitalizzata, è possibile per i programmi di analisi computerizzata rivelare trend nascosti in campi come la storia, la cultura, il linguaggio e il pensiero filosofico”, ha concluso Jon Orwant, ingegnere e manager di Google Books.

Riferimento: Science DOI: 10.1126/science.1199644DOI: 10.1126/science.330.6011.1600

1 commento

  1. Notevolissimo anche per un altro dettaglio: non c’è neanche una mezza pagina di italiano. Per protesta il governo italiano invierà ad Harvard i ministri Frattini e Bondi.

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