Scritture animali

Giuseppe Genna
Discorso fatto agli uomini dalla specie impermanente dei cammelli polari
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Davide Enia
Mio padre non ha mai avuto un cane
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Mario Giorgi
Alter e (un fagiano)
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Collana zoo. Scritture animali
:due punti edizioni 2010, euro 6,00 ciascuno

I libri della nuova collana :duepunti sono di cacca. Più precisamente, di cacca di elefante. Le loro copertine, infatti, sono state realizzate nella speciale Dung Elephant Paper prodotta artigianalmente in Sri Lanka e premiata dalla BBC, e andranno a finanziare un programma per la tutela dei pachidermi. Le pagine interne, invece, sono in carta ecologica e stampate con inchiostri a base di oli vegetali. Non sono dettagli irrilevanti: la nuova collana si propone infatti come scrittura militante a favore degli animali, e quindi anche dell’ambiente. Obiettivo comune dei volumi pubblicati è invitare il lettore ad ampliare il proprio sguardo sul mondo oltre l’orizzonte ristretto dell’essere umano, aprendosi a prospettive che trascendono l’usuale antropocentrismo.

In questi libri gli uomini osservano gli animali e gli animali osservano gli uomini, in un gioco incrociato di sguardi che genera visioni inedite. In “Mio padre non ha mai avuto un cane” di Davide Enia, per esempio, c’è un cane che osserva il protagonista-narratore mentre lava la macchina, e c’è una cagna che accompagna solennemente la sua padrona al cimitero e la guarda mentre cambia i fiori alla tomba del fidanzato; ed è ancora attraverso gli occhi di un cane che il piccolo Davide assiste allo spettacolo raccapricciante di un morto ucciso per mafia. Del resto non potrebbe essere altrimenti: solo uno sguardo totalmente altro può cogliere la crudeltà che è una prerogativa del mondo umano, perché “l’uso delle armi, la pianificazione di una strage, la sua realizzazione sono tratti unicamente, spudoratamente umani” (p. 31). E se questo mondo umano ci appare talvolta tanto brutto, occorre allora uscirne e coglierlo con altri occhi, per esempio con gli occhi di un cane, dal momento che “ogni animale vede i fili che tutto legano assieme, i numeri pari e dispari che tendono all’infinito, la forma circolare del tempo” (p. 45). Tutto ciò che sembra sfuggire all’essere umano si rifugia nello sguardo di un cane, per cui il protagonista non deve far altro che chiedersi che cosa veda il cane. L’animale è allora anche l’archetipo a cui aggrapparsi nella disperazione di un mondo tormentato da un male troppo umano: quello delle stragi di Falcone e Borsellino. Davide Enia ce le racconta come nessuno le aveva mai raccontate, con lo sguardo incrociato di un bambino e di un cane, e con uno stile che fa vibrare tutte le corde dell’anima.

In “Alter e (un fagiano)” l’animale rappresenta il totalmente altro che si annida però nelle profondità del sé. I tentativi del protagonista di avvistare il fagiano diventano l’occasione per un esercizio di decentramento, in cui i sensi interni tacciono e la sensibilità esterna risulta amplificata, in un parziale oblio del sé. Ma l’incontro con il fagiano è anche l’incontro con un altro se stesso, che non può però manifestarsi se non attraverso un esterno, quello di un mondo animale che non è costretto nelle gabbie costruite dagli umani ma che, al contrario, è lasciato a se stesso. Per questo il protagonista non smette di cercare un “primo contatto, un contatto uno-a-uno, che certo non può avvenire dentro uno zoo o all’interno di una situazione definita (là dove l’animale è parte di un nucleo familiare)”. Il protagonista cerca il fagiano, e, con il fagiano, una parte di se stesso che aveva dimenticato, la sua parte “fagianesca”. L’itinerario di ricerca è anche un processo d’interrogazione esistenziale che non ammette facili soluzioni. La scrittura cattura e rende in maniera impressionistica le più sottili sfumature dei sentimenti.

In “Discorso fatto agli uomini dalla specie impermanente dei cammelli polari” la parola spetta alla specie immaginaria dei cammelli polari che, ancora una volta, offrono agli umani uno specchio in cui riflettersi se “verrebbe da pensare che noi siamo una specie impermanente: e invece siete voi gli impermanenti, che soltanto raramente riuscite ad affacciarvi al di fuori di quel carcere in cui vi siete infilati e a togliervi quelle spesse lenti affumicate che vi ottundono la vista” (p.33). I cammelli polari parlano all’essere umano dei tempi in cui doveva ancora nascere, e poi della Luna, dello spazio e del tempo. Una domanda giunge ripetuta ed insistente: “Come fate?” Osservata dall’esterno, la specie umana appare un guazzabuglio di piccolezze e contraddizioni.    

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