Sei piccoli pianeti

Un sistema planetario strabiliante, lontano 2.000 anni luce da noi, nella costellazione del Cigno, con sei pianeti che ruotano attorno a una stella simile al Sole, Kepler-11. Dei corpi celesti, cinque hanno una massa che va dalle 2,3 alle 13,5 volte quella della Terra. È questa l’ultima conquista della missione Kepler della Nasa (vedi Galileo), i cui dettagli sono riportati su Nature. Gli astronomi – 39 scienziati appartenenti a 16 istituzioni differenti sotto la guida di Daniel Fabrycky, un ricercatore postdoc dell’Università di California – hanno analizzato minuziosamente questo sistema per ricostruirne le caratteristiche fondamentali. I pianeti più massicci sono paragonabili più o meno a Nettuno e a Urano, mentre i tre con massa minore non corrispondono a nessuno dei pianeti del nostro sistema, il sesto invece non può essere misurato poiché è troppo lontano dagli altri per perturbarne il periodo orbitale. Per comprendere la reale portata della scoperta, Galileo ha intervistato Raffaele Gratton dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Padova

Dottor Gratton, perché la scoperta di questo sistema planetario è così importante?

“I motivi sono essenzialmente due e sono legati alle caratteristiche dei pianeti e a quello che si è potuto scoprire su di loro. Di solito i pianeti individuati dal telescopio spaziale Kepler o dagli altri strumenti sono più grandi e gassosi, simili a Giove (vedi Galileo). Difficilmente sono stati ritrovati pianeti extrasolari così piccoli in termini di massa. In questo caso, sono stati scoperti d’un colpo sei pianeti piccoli, e i più minuti hanno appena due volte la massa della Terra.  Inoltre, abbiamo imparato che Kepler è in grado di dare dei valori di massa senza che si debba ricorrere ai metodi tradizionali basati sulle velocità radiali, che presupponevano un telescopio da terra e sono impossibili da applicare a pianeti tanto piccoli e a una stella così lontana. Questo conferma che con Kepler si possono ottenere informazioni fino a ora impensabili. Possiamo non solo cercare pianeti simili alla Terra – situati quindi a una distanza dalla loro stella in cui l’acqua si formi e non evapori – ma anche capire quanto questi siano frequenti”.

Qual è il metodo di indagine?

“Kepler è in grado di osservare una zona del cielo che comprende oltre 70.000 stelle, un software poi le analizza una ad una, cercando dei “segnali interessanti”. Kepler-11 non è l’unica stella nel database che si è scoperto ospitare dei pianeti: come dice il suo nome, infatti, è l’undicesima. Attualmente le stelle “buone”, cioè candidate a un’analisi approfondita con Kepler sono circa 1.200; dai primi dati disponibili, si sa che una settantina fra queste potrebbero avere pianeti molto simili alla Terra, anche se non siamo ancora sicuri che in tutti i casi troveremo veramente dei corpi”. 

Quali sono le caratteristiche di sei pianeti?

“Soni stati fatti diversi studi per determinarne raggio, densità e composizione. Poiché i pianeti transitano davanti alla stella, la luce di questa diminuisce nel momento del passaggio. Questo ci permette di conoscere il raggio del pianeta, da qui il suo volume e quindi, dagli effetti gravitazionali che ha sugli altri corpi del sistema, si risale alla densità. Se la densità è elevata, vuol dire che il pianeta è formato da rocce, come la Terra, Venere, Marte; se invece la densità è bassa, allora il pianeta è formato in gran parte da gas, idrogeno ed elio, come Giove e Saturno. La composizione del pianeta dà delle importanti informazioni sulle sue origini. In questo caso, la composizione è sorprendente: alcuni dei pianeti vicini alla stella sono gassosi, cosa ritenuta impossibile per pianeti così piccoli, perché si è sempre pensato che il gas vicino a una stella evaporasse; inoltre due di questi pianeti sono ricchi di acqua. Entrambe queste evidenze ci dicono che questi pianeti si sono formati in un punto più distante dalla stella rispetto a dove sono ora.  Tuttavia, è ancora difficile costruire un modello della loro formazione, perché i pianeti sono molto vicini tra loro”.  

Riferimento: doi:10.1038/nature09760 

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