Oltre la guerra alla droga

Esce in Italia “Dopo la guerra alla droga“, il saggio della fondazione inglese Transform, impegnata da anni per una riforma della politica mondiale sulle droghe. E’ una novità editoriale da guardare con attenzione perché le proposte presentate non sono propagandistici incitamenti alla liberalizzazione, ma pratiche soluzioni normative per regolamentare legalmente il consumo delle sostanze stupefacenti. Pragmatiche strategie, molte riconducibili al principio della riduzione del danno, per superare il dogma del proibizionismo che ha dimostrato il suo fallimento su scala mondiale (vedi Galileo Proibizionismo chiama violenza; Tutti i danni del proibizionismo).

Il libro, edito da Ediesse, parte proprio dalla constatazione che cinquant’anni di politiche repressive imposte all’intero pianeta dalle tre Convenzioni delle Nazioni Unite (del 1961, 1971, 1988) non hanno neanche sfiorato l’obiettivo del “drug free world” che solennemente si proponevano.

“Oramai è chiaro a tutti. Il re è nudo, la cieca repressione non ha portato i vantaggi sperati. Il dogma proibizionista ha cominciato a incrinarsi nel 2009 quando a Vienna in occasione della verifica decennale del piano antidroga deciso all’Assemblea di New York del 1998 la maggioranza dei paesi europei capeggiati dalla Germania chiese che venisse messa agli atti una dichiarazione a sostegno delle politiche di riduzione del danno”, spiega Franco Corleone che insieme a Grazia Zuffa, direttrice di Fuoriluogo , ha firmato la prefazione all’edizione italiana del libro.

Le politiche di riduzione del danno, è chiaro, non vanno molto d’accordo con quelle leggi che puniscono severamente i consumatori, come accade dalle nostre parti, ma non richiedono necessariamente un regime di totale legalizzazione delle droghe, che è in netto contrasto con le Convenzioni ONU.

“Un conto è depenalizzare il consumo, altra cosa legalizzare la produzione e l’acquisto. Nel primo caso non è necessario uscire dai trattati internazionali. L’Olanda per esempio ha trovato il sistema giuridico per tollerare il consumo di droga all’interno dei coffee shop senza inficiare i dettami dell’ONU, e il Regno Unito nel 2003 ha potuto approvare la declassificazione della cannabis. La seconda strada invece è in aperto contrasto con le Convenzioni”, precisa Corleone.

Perciò, con pragmatismo tipicamente anglosassone, il libro di Transform non prende in considerazione l’ipotesi di un libero mercato delle droghe, ma suggerisce modelli di regolazione legale diversificati sostanza per sostanza, ispirandosi alle normative sul consumo di alcol e tabacco in vigore nella maggior parte dei paesi nel mondo. Suggerisce una serie di percorsi graduali di regolamentazione mettendo in guardia dal rischio di cambiamenti drastici e improvvisi.

Per la cannabis e la cocaina, per esempio, si potrebbe prevedere una licenza per venderle ma anche per consumarle, il divieto di introdurre marchi commerciali sulle confezioni e di pubblicizzare il prodotto. Si potrebbe pensare a un sistema di monitoraggio del confezionamento che impedisca dosaggi troppo elevati di principio attivo, nel caso della cannabis, e che assicuri dosi di cocaina tagliate con sostanze sicure. Prevedere, inoltre, controlli sull’età e sulle condizioni di salute del compratore e sanzioni per i punti vendita che non rispettano le restrizioni.

Vale lo stesso più o meno per amfetamine ed ecstasy che, se trattati alla stregua di comuni farmaci, causerebbero molti meno danni alla salute dei consumatori. Anche nel caso del crack esistono sperimentazioni già avviate, come le narcosale a Vancouver.

E ciò dimostra che una regolamentazione è possibile per qualunque tipo di sostanza. I tempi sono maturi, ci dice il libro, per abbattere gli atavici totem proibizionisti e tentare strade alternative.

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