Così scompaiono le tigri di Sumatra

La videocamera di un attivista di Greenpeace ha registrato gli ultimi momenti di vita di una tigre di Sumatra, uno dei grandi felini considerato a rischio di estinzione dall’International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (Iucn). L’animale è morto per le ferite causate da una trappola piazzata nelle concessioni dell’industria cartaria Asia Pulp and Paper (App).

Il giovane maschio di un anno e mezzo era una delle 400 tigri che ancora vivono sull’isola indonesiana di Sumatra. L’avanzamento del fronte di deforestazione ha costretto questi animali a cercare il cibo nei pressi degli insediamenti umani, dove spesso cadono vittima delle trappole per cinghiali. La situazione è diventata particolarmente insostenibile nella provincia di Riau, dove ogni anno 1.600 km quadrati di foresta (pari all’intera area urbana di Roma) vengono distrutti per alimentare la produzione di polpa di cellulosa e olio di palma.

Il video diffuso da Greenpeace punta ora a far vacillare il giudizio positivo che l’ente di certificazione forestale Pefc (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes) aveva precedentemente assegnato ad App. Da tempo infatti, la ong ambientalista ha avviato una campagna mirata a fare pressione sulle multinazionali del giocattolo (tra cui Mattel, Disney e Hasbro) affinché non utilizzino più nel packaging dei loro prodotti fibre di cellulosa proveniente dalle foreste indonesiane.

“Tutte le aziende che utilizzano carta certificata Pefc”, ha spiegato Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia, “devono sapere che i loro prodotti potrebbero contenere fibre di cellulosa provenienti dall’area dove è morta una delle ultime 400 tigri di Sumatra. Investire nel futuro dell’industria della carta e dei giocattoli non può significare la condanna per le foreste e le tigri che le abitano”.

1 commento

  1. Ho letto il vostro articolo e sono ovviamente sconvolto dalle immagini diffuse da Greenpeace che mostrano un animale in via di estinzione ucciso a causa della deforestazione. Ma ancora una volta l’associazione ambientalista ha voluto creare un accostamento incomprensibile e assolutamente improprio tra ciò che avviene nelle foreste indonesiane gestite dalla multinazionale APP e le attività del Pefc, rendendosi responsabile di una serie di scorrettezze e falsità estremamente gravi, al limite della diffamazione. Vorrei elencare la serie di scorrettezze che sono presenti nella varie comunicazioni fatte circolare nella giornata di oggi da parte di Greenpeace, sperando che possa credere alla fonte diretta della informazione sul PEFC e non ad un supporter del sistema di certificazione antagonista.
    1) non c’è nessun collegamento tra PEFC e le foreste indonesiane incriminate, dove non c’è mai stata certificazione PEFC (la diffusione è riscontrabile nel sito internazionale http://www.pefc.org e in particolare al link http://register.pefc.cz/statistics.asp ). Quindi è assurdo far vedere una tigre morente e collegarla alla certificazione PEFC.
    2) PEFC non è un organismo di certificazione! Come Greenpeace sa bene, è un organismo di normazione come la ISO (International Standard Organisation) che definisce gli standard di certificazione per il settore forestale. Gli standard del PEFC sono verificati da Organismi di Certificazione, che rilasciano il certificato di conformità allo standard su richieste delle aziende. Quindi le affermazioni di Chiara Campione di Greenpeace sono un evidente esempio di disinformazione e di distrazione dal problema sollevato dal PEFC: la nostra organizzazione non certifica alcuna azienda ne tanto meno APP, essendo tale attività di pertinenza degli Organismi di Certificazione, con cui tra l’altro non ha alcun legame. Come può quindi può prendere le distanze da una azienda che è stata certificata da un altro organismo?
    3) Quando si mette in collegamento APP e PEFC certamente si vuol far riferimento al fatto che la APP ha ottenuto un certificato di tracciabilità per le carte che contengono fibre provenienti da piantagioni che sono certificate PEFC in Cile. Ma essendo l’azienda asiatica nel mirino di Greenpeace per le proprie attività in Indonesia e Sumatra, si è voluto unire scorrettamente il tema e lanciare una inutile richiesta per mettere il PEFC in cattiva luce.
    4) L’operato del PEFC è stato criticato solo dalle organizzazioni ambientaliste che appoggiano il sistema di certificazione forestale antagonista, cioè FSC. Qualsiasi persona intelligente capisce che questa operazione ha delle motivazioni poco legate alla protezione delle foreste!
    Nonostante la nostra organizzazione abbia già avuto uno scambio di comunicati con Greenpeace nel novembre 2010, evidentemente c’è un interesse dietro che ci fa dubitare della serietà e della indipendenza da parte di Greenpeace. Purtroppo solo il 10% delle foreste nel mondo sono certificate (2/3 secondo standard Pefc e 1/3 secondo standard Fsc). C’è quindi ancora tantissimo da fare e sono ancora poche le aziende virtuose che scelgono i propri fornitori con fibra provenienti da boschi certificati. Invece di concentrare in questa direzione i propri sforzi, Greenpeace attacca in maniera subdola e falsa la nostra Organizzazione, dimostrandosi più interessata al mercato che al destino delle foreste.
    Mi auguro che queste informazioni siano sufficienti per capire da che parte sta la verità.
    Antonio Brunori
    Segretario Generale PEFC Italia

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