Il diabete è un’epidemia globale

Il diabete di tipo 2 ha assunto definitivamente le dimensioni di un’epidemia: ogni anno, nel mondo, ne muoiono 3 milioni di persone e 347 milioni ne soffrono (dati al 2008): circa il doppio rispetto ai 153 milioni del 1998. Solo in Cina e India colpisce 138 milioni di persone. A lanciare l’allarme è uno studio pubblicato su The Lancet e condotto da Majid Ezzati dell’Imperial College di Londra e Goodarz Danaei dalla Harvard School of Public Health, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Gli studiosi hanno preso in esame i dati di analisi cliniche condotte nel 2008 su 2,7 milioni di persone adulte, appartenenti a 199 paesi diversi, e li hanno confrontati con quelli del 1980. I risultati mostrano un preoccupante aumento dell’incidenza della malattia: ne soffrono il 9,8 per cento degli uomini e il 9,2 per cento delle donne, rispetto ai 8,3 e 7,5 di trent’anni fa.

Secondo lo studio, inoltre, negli ultimi anni l’incidenza del diabete è aumentata radicalmente nelle isole nelle nazioni insulari del Pacifico, che ora hanno i più alti livelli nel mondo: nelle Isole Marshall, una donna su tre e un uomo su quattro hanno il diabete. Numeri elevati si registrano anche nell’Asia Centrale e Meridionale, nei Caraibi e in America Latina, in Nord Africa e nel Medio Oriente. Infine, tra i paesi ad alto reddito, l’aumento del diabete è relativamente basso in Europa occidentale (Paesi Bassi, Austria e Francia) e più alto nel Nord America (Stati Uniti, Groenlandia).

“Questa patologia sta diventando sempre più comune quasi ovunque nel mondo. Sta superando ipertensione e colesterolemia, entrambi in diminuzione in molte regioni e rispetto ai quali il diabete è molto più difficile da prevenire e curare”, spiega Ezzati. Ma qualcosa si può fare. Per esempio – sostiene Danei – i sistemi sanitari nazionali potrebbero sviluppare programmi più efficienti per intercettare le persone che presentano una glicemia elevata e aiutarle a modificare il loro stile di vita, soprattutto dal punto di vista dell’alimentazione e dell’attività fisica.

Riferimenti: The Lancet doi:10.1016/S0140-6736(11)60679-X

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