Millepiedi, se si illumina è tossico

Sparsi sul terreno, tra le maestose sequoie, migliaia di piccoli punti luce illuminano il sottobosco delle montagne californiane: sono i millepiedi bioluminescenti del genere Motyxia. Delle circa 12mila specie di diplopodi conosciute, solo le otto appartenenti a questo gruppo hanno l’enzima necessario a produrre una fioca luce verde. E nessuna di loro è in grado di vedere. A che scopo, quindi, emettere un segnale che nel buio della foresta non può far altro che attrarre i predatori? Come dimostrano Paul Marek e colleghi dell’Università dell’Arizona di Tucson (Stati Uniti) in uno studio pubblicato su Current Biology, questi invertebrati usano la fluorescenza proprio per evitarli, i guai: a se stessi e ai possibili predatori. La bioluminescenza, in questo caso, ha lo stesso ruolo delle vistose colorazioni utilizzate da molti altri animali.

In natura, alcuni pesci e numerosi invertebrati marini e terrestri emettono luce per segnalare la loro presenza ai potenziali partner, oppure per incuriosire e attrarre le prede. Ma non poteva essere il caso di questi millepiedi, che sono tutti ciechi e detritivori. Per questo, e dal momento che si tratta di specie tossiche (si difendono producendo cianuro), gli entomologi hanno pensato a un messaggio di avvertimento: un segnale aposematico per indicare la loro pericolosità.

Per verificare direttamente in natura se gli individui luminosi subissero meno attacchi degli altri, i ricercatori hanno condotto un singolare esperimento notturno nel Parco Nazionale delle Sequoie Giganti, in California. Hanno disposto lungo un transetto ben 300 finti millepiedi d’argilla (a 5 metri di distanza l’uno dall’altro), copie perfette di Motyxia sequoiae ottenute da un calco in bronzo; metà di queste sono state dipinte con una vernice fluorescente. Lungo un transetto poco distante, invece, hanno liberato oltre 150 individui vivi, metà dei quali dipinti per nascondere la luminescenza.

Tornando sul sito la mattina seguente, Marek ha trovato i resti di una vera carneficina, risultata poi opera di un roditore (Onychomys turridus): “Eravamo molto sorpresi dal tasso di predazione subìto dai millepiedi. Almeno un terzo degli individui – sia quelli veri sia le copie – erano stati attaccati”, racconta lo scienziato. In entrambi i gruppi, inoltre, gli esemplari non luminescenti erano stati addentati quattro volte più degli altri, il che indica che l’emissione di luce non attira i predatori, come invece si potrebbe pensare. “I risultati dell’esperimento dimostrano che, in questo caso, la bioluminescenza è un deterrente e che i segnali chimici contribuiscono all’aposematismo di Mytoxia”, ha concluso Marek. I predatori, in pratica, hanno imparato ad associare il segnale luminoso al sapore sgradevole di questi animali, ed evitano di mangiarli.

Riferimento: Current Biology doi:10.1016/j.cub.2011.08.012

Credit: Paul Marek

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