Tubercolosi: meno infezioni, più resistenze

La Tbc continua a fare paura: il caso dell’infermiera che al Policlinico Gemelli avrebbe contagiato con il bacillo di Koch centinaia di neonati ha occupato a lungo le prime pagine dei giornali. E ha un bel dire, il ministro della Salute Ferruccio Fazio, che non di epidemia di tubercolosi si è trattato, bensì di “epidemia mediatica”. Perché nel frattempo il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) ha rilanciato l’allarme su un altro caso romano di Tbc.

Più luci che ombre, invece, nel sedicesimo Global Tuberculosis Control Report 2011 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo il rapporto cala il numero dei contagi e quello dei morti è il più basso degli ultimi dieci anni, ma l’emergenza rimane: circa un terzo dei casi stimati sfugge ai controlli, ed è impossibile sapere se queste persone abbiamo avuto una diagnosi di Tbc e siano attualmente in cura. E la riduzione dei finanziamenti rischia di compromettere i risultati raggiunti, soprattutto per le forme resistenti ai farmaci.

Scendendo nel particolare, si scopre che nel 2010 i casi di tubercolosi riportati nei 198 paesi che hanno fornito dati sono scesi a 8,8 milioni dai 9,4 del 2009, la maggior parte dei quali registrati in Asia e in Africa (rispettivamente il 59% e il 26%), con India, Cina, Sudafrica e Indonesia come le regioni più colpite. In calo, rispetto al 2002, di circa l’1,3% all’anno. Sono stati invece 1,4 milioni i morti a causa della malattia (350000 dei quali solo negli Hiv-positivi, più suscettibili allo sviluppo della tubercolosi), in diminuzione dal 2009, quando i decessi registrati furono 1,7 milioni. Numeri che, come sottolineato dal rapporto, farebbero ben sperare nel raggiungimento dei Millennium Developmental Goal fissati per il 2015 sulla riduzione del tasso di incidenza e sul dimezzamento della mortalità in riferimento al 1990, come stabilito dal progetto Stop TB (con l’unica eccezione delle regioni africane).

In cima alla lista dei paesi che più hanno contribuito ad abbassare l’incidenza e il numero dei decessi per tubercolosi c’è la Cina, dove tra il 1990 e il 2010 la mortalità è scesa dell’80% e il tasso di infezioni del 3,4% per anno, seguita da Kenya, Tanzania e Brasile. In leggero aumento anche la percentuale di chi, una volta diagnosticata la malattia e sottoposto ai trattamenti, viene curato: nel 2009 questi sono stati circa l’87%, un punto in più rispetto all’anno precedente. Anche se non si conosce lo stato dei trattamenti per circa un terzo degli infettati stimati.

Ma il rapporto non si ferma ad analizzare il trend positivo di infezioni e decessi. Secondo quanto riferisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, malgrado i successi ottenuti sul campo il pericolo resta, e il maggiore nella lotta alla tubercolosi è rappresentato dalle diagnosi e dalla cure per forme del bacillo resistenti ai trattamenti farmacologici (Mdr-Tb, ovvero Multidrug-resistant tubercolosis). Infatti, meno del 5% di nuovi casi e di quelli già in cura sono stati testati per il superbacillo, che avrebbe colpito secondo le stime circa 290 mila persone nel 2010. Di questi solo il 16% invece sarebbe attualmente in cura, e il calo dei finanziamenti per la prevenzione e la cura della malattia – circa un miliardo di dollari in meno quelli per il 2012 – colpirebbe proprio questo settore.

“Meno persone stanno morendo di tubercolosi, e meno se ne ammalano. Questo è il successo più grande”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon commentando i dati: “Ma questo non può essere causa di compiacimento. Troppi milioni di persone ancora sviluppano la tubercolosi ogni anno, e troppi ne muoiono. Invito a un serio e sostenuto supporto in favore della prevenzione e della cura della tubercolosi, specialmente per le persone più poveri e più vulnerabili”.  Un monito che sembra essere stato accolto anche in Italia: l’azienda sanitaria Asl Roma B, per esempio, comincerà alla fine del mese a eseguire i test per la tubercolosi nel migliaio circa di profughi che popolano due campi di accoglienza sotto la propria competenza. Nell’ottica di andare a vedere proprio lì dove la malattia è più probabile che si sviluppi, in condizioni di povertà e precarietà.

Riferimenti: WHO Global tuberculosis control 2011

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