Salvare il pesce spada in quattro mosse

Mentre Greenpeace denuncia la scarsa trasparenza sulla provenienza e sui metodi di pesca del tonno che arriva sulle nostre tavole nel rapporto “I segreti del tonno. Cosa si nasconde in una scatoletta?” (cui si riferiscono la fotogallery su Galileo Flickr e il video), l’associazione Oceana lancia l’allarme sul rischio estinzione del pesce spada del mediterraneo. Oceana chiede ai 48 paesi membri dell’Icatt (Commissione Internazionale per la conservazione dei tonni atlantici), riuniti in questi giorni a Istanbul per il meeting periodico, di adottare quattro semplici regole per salvare il pesce spada e di imporle ai pescherecci che stanno decimando la popolazione del mare nostrum, diminuita del 50% in pochi anni. I quattro interventi dovrebbero costituire i pilastri su cui basare un nuovo “Piano di gestione globale per il pesce spada nel Mediterraneo”. Vediamo di che si tratta.

Primo: introdurre dei limiti alla pesca basati sulle conoscenze scientifiche. Secondo: stabilire le dimensioni minime per la cattura, evitando così di fare incetta di pesci giovani (attualmente il 70% degli esemplari di pesce spada mediterraneo è giovane). Terzo: aumentare il controllo sulle autorizzazioni alla pesca e prevedere piani di riduzione della capacità di pesca di una flotta se le prove scientifiche lo ritengono opportuno. Infine, avviare campagne informative che rendano consapevoli i pescatori delle sanzioni previste per i comportamenti illeciti. Primo tra tutti l’uso delle spadare che, seppur bandite dall’Icatt otto anni fa, continuano a essere una realtà nel Mediterraneo, in Italia come in Marocco e in Turchia.

“Il pesce spada mediterraneo è stato a lungo ignorato come un vaso di Pandora che nessuno vuole aprire e, nel frattempo lo stock è stato decimato e la pesca illegale è stata tollerata” ha dichiarato Maria Jose Cornax, manager delle campagne che Oceana svolge in Europa grazie alle quali emergono le cattive abitudini dei pescatori: pesca con spadare, cattura di esemplari molto piccoli, utilizzo di reti illegali nelle cui maglie finiscono accidentalmente squali, delfini, tartarughe marine, uccelli. Tutto ciò è dovuto a una “cattiva gestione endemica della pesca mediterranea”, ha sottolineato Maria Jose Cornax.

Il filmato è stato girato da un informatore dell’industria del tonno su un peschereccio coreano nell’Oceano Pacifico. Credit: Greenpeace (il video non è visibile se si utilizza il browser Google Chrome)

Credits immagine: Flavia Brandi/Creative commons/Flickr

Galleria fotografica: Greenpeace

2 Commenti

  1. Le foto dell’articolo non mostrano pescespada. La pesca al pescespada non si effettua con il sistema a strascico. La pesca a strascico è ben regolamentato e controllato, e sicuramente non è un metodo distruttivo, comunque non ha nulla inerente alla pesca del pescespada.
    Domanda: di cosa parla l’articolo???
    Forse dell’uso delle spadare, che oltre ad essere stato vietato dalla Comunità Europea, ed è veramente dannoso per specie come tartarughe e delfini poichè non è selettivo?

  2. Gentile lettore,
    la ringraziamo per le sue osservazioni. Per quanto riguarda la questione delle “reti a strascico” l’errore nasce per evere preso per buono il comunicato stampa in italiano dell’associazione Oceana che effettivamente parla di “reti a strascico”. Abbiamo verificato che nel rapporto inglese si parla di “drift nets” (reti derivanti o spadare). Questo è il link al rapporto.http://eu.oceana.org/sites/default/files/reports/swordfish_and_driftnets.pdf
    Ci scusiamo per l’imprecisione e provvediamo a correggere l’errore.

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