La casa da 300 dollari

Una casa per le persone più disagiate del mondo, essenziale ma funzionale e confortevole. E soprattutto al costo accessibile di 200 euro. I primi prototipi saranno realizzati ad Haiti, dove la ricostruzione post-terremoto procede a rilento, per poi essere progettati anche nelle baraccopoli densamente popolate di Nuova Delhi, in India, nelle favelas brasiliane o nelle township del Sudafrica. Sta prendendo corpo, infatti, il progetto $300 house lanciato nel 2010 da Vijay Govindarajan, docente di economia alla Tuck school of Business del Dartmouth College (Usa), insieme all’esperto di marketing Christian Sarkar. Lo scorso 25 gennaio architetti, designer, ingegneri, studenti e investitori si sono ritrovati al Darmouth College per un workshop di quattro giorni con i membri di due comunità haitiane, per scambiarsi competenze e idee e creare un prototipo unico di abitazione. 

Il problema abitativo dei poveri è un’emergenza globale, destinata ad aggravarsi con la pressione demografica dovuta alle migrazioni e agli spostamenti dalle aree rurali a quelle urbane. “Oltre 70 milioni di persone, pari alla popolazione del Regno Unito, vivono sui marciapiedi”, ha spiegato Govindarajan. “Vi sembra una cosa normale? La casa è un diritto di ogni essere umano. Una nazione che non può ospitare e curare il proprio popolo è un paese fallito. Le aziende, i governi e le ong devono lavorare insieme per risolvere questo problema di portata mondiale”. 

Per questo Govindarajan ha pensato di lanciare nel 2010 sul blog della Harvard Business Review la proposta per la costruzione di una casa economica, a 300 dollari appunto, e ha chiamato a raccolta gli esperti del settore sul sito www.300house.com. L’unità abitativa deve rispondere a determinate caratteristiche: essere composta di un’unica stanza e di separazioni mobili per garantire spazi riservati, utilizzare materiali sostenibili ma nello stesso tempo resistenti per rispondere al meglio alle calamità tipiche di alcune zone del mondo (vedi le aree sismiche), essere dotata di un pannello solare a basso costo, di un filtro per l’acqua, di una batteria, di amache e sedie pieghevoli. 

La sfida lanciata da Govindarajan, che gli è valsa il “Breakthrough Idea Award”, ha suscitato subito un grande interesse da parte di ingegneri, architetti, designer, e da aprile a maggio scorso sono stati più di 300 i progetti inviati, i migliori dei quali sono stati presentati al workshop di fine gennaio. 

Nell’ambito dell’iniziativa è stata avviata anche un’indagine in 15 villaggi di tre stati indiani, Jharkhand, Bihar e Uttar Pradesh, per conoscere dalla voce dei diretti interessati le esigenze delle famiglie e le problematiche di quelle aree. Dopo i progetti pilota ad Haiti, infatti, le successive unità abitative dovrebbero essere destinate all’India e all’Indonesia. Ma non è tutto. I progettisti sperano un giorno di poter adattare le soluzioni abitative anche ai paesi sviluppati, creando una sorta di ‘innovazione di ritorno’ (reverse innovation): quanto appreso nel corso del progetto potrà essere applicato per rispondere alle esigenze delle vittime degli uragani, dei rifugiati o delle forze armate e per la costruzione di case residenziali da 3.000 dollari fino a quelle da 30.000 dollari.

Credit per l’immagine: $300house.com

2 Commenti

  1. Gentile Loredana Oliva, so bene che la notizia non è nuova e nell’articolo non se ne fa mistero, anzi è ben esplicitato che il progetto nasce come idea nel 2010. Lo spunto d’attualità per il mio articolo, tuttavia, è venuto dal workshop di quattro giorni che si è aperto il 25 gennaio 2012 e che ha visto la partecipazione degli architetti e dei designer che si sono distinti con le loro proposte, oltre che dei membri della comunità haitiana. Si tratta quindi di un passo in avanti verso la realizzazione concreta dei prototipi. Trattandosi di un progetto in itinere, anche fornire degli aggiornamenti sullo stato dell’arte può costituire, a mio parere, un’utile notizia e un approfondimento.
    Roberta Pizzolante

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