Finanziamenti alla ricerca, parla Ignazio Marino

Il merito è il primo e forse l’unico criterio da adottare per rendere effettivo il cambiamento. E’ necessario favorire le giovani intelligenze, valorizzare il talento delle donne, scegliere il candidato migliore in base a capacità, competenze e risultati ottenuti. L’Italia soffre per un’immobilità che ha sempre inchiodato a posti di secondo piano, milioni di persone che non sono entrate nelle giuste cordate di potere, non hanno promesso favori trasversali, non hanno un cognome illustre.

Da anni, in particolare, si parla della necessità di frenare l’esodo dei nostri cervelli migliori verso l’estero. La fuga dei cervelli, però, non si combatte certamente rendendo ancora più difficile, se non impossibile, l’accesso ai fondi della ricerca per chi non ha le conoscenze giuste. Eppure, il Governo ha dimostrato di avere un’idea diversa, o almeno è tale quella del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. Il decreto legge su semplificazioni e sviluppo, che sta per essere definitivamente convertito in legge dalla Camera dei Deputati, cancella i principi di trasparenza e merito alla base delle norme, da me inserite nella finanziaria del 2007, che hanno consentito di finanziare i progetti di ricerca dei giovani scienziati under 40 attraverso il meccanismo della peer review, la valutazione tra pari.

Questa norma negli anni successivi, permise di assegnare finanziamenti di circa mezzo milione di euro ciascuno a decine di progetti selezionati tra alcune migliaia di proposte. La selezione veniva condotta da una commissione di ricercatori under 40 di cui almeno il 50% era attivo all’estero. Insomma, la valutazione non avveniva più nella stanza chiusa di qualche ministero. Per esempio, la prima classificata nel 2008 è stata una ricercatrice dell’Università di Chieti, Laura Bonanni, che presentò un progetto di ricerca sulle malattie neurodegenerative, al quale la commissione esterna giudicante ha assegnato un finanziamento pari a 600.000 euro. Il particolare degno di nota è che la candidata era stata esclusa da un concorso a ricercatore nella propria università, su suggerimento del suo professore universitario che le aveva sconsigliato di partecipare. In lista c’era un cognome più importante del suo, a cui bisognava dare precedenza.

Questo la dice lunga sul diverso metodo di giudizio utilizzato dai ‘baroni’ universitari rispetto a commissioni di spessore internazionale. Con un metodo di selezione trasparente, invece, questa ricercatrice non è arrivata seconda su due ma prima su oltre 1500.

La cancellazione senza appello della peer review la settimana scorsa mi ha spinto a non votare la fiducia al governo.

Il Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, prima interpellato dai giornali, poi in Commissione e in Aula al Senato, ha dichiarato di non sapere chi abbia introdotto tale modifica e che, per rimediare, presenterà un disegno di legge al fine di dotare nuovamente il paese di un sistema di peer review “funzionante”. Quanto accaduto, tuttavia, non è affatto rassicurante: fino a quando questa nuova norma non sarà in vigore, favoritismi e baronie domineranno di nuovo anche su quel 10% di fondi che per qualche anno sono sfuggiti al controllo di “amici degli amici”. Se l’obiettivo era spezzare un circolo virtuoso, anche solo per errore, ci si è riusciti.

Che sia questa la meritocrazia al tempo dei tecnici al governo?

Ignazio Marino è chirurgo e senatore del PD

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