Un farmaco per la prevenzione da Hiv

Non solo come terapia contro l’Hiv, ma anche come prevenzione. È il caso del Truvada, farmaco antiretrovirale finora utilizzato nel trattamento dell’infezione, che ora un panel di esperti dall’agenzia per la sicurezza alimentare e dei farmaci statunitense (FdA) ha giudicato essere adatto anche a scopi preventivi. Solo per alcune categorie di persone, però. E cioè i sex workers, coppie in cui uno dei partner sia sieropositivo che vogliono avere un figlio, e le donne nei paesi in via di sviluppo. Qui, infatti, spesso le mogli sono infettate dai propri mariti, a cui non riescono a imporre l’uso del preservativo, oppure sono vittime di stupri, soprattutto nelle aree che sono teatri di conflitti. Una decisione storica: è la prima volta che consulenti governativi statunitensi si esprimono a favore della terapia antiretrovirale preventiva.

Nella comunità scientifica, questo farmaco, i cui principi attivi sono emtricitabina e tenofovir disoproxil, è già da tempo sotto i riflettori, da quando cioè sono stati pubblicati i risultati di alcuni studi clinici che ne dimostrano l’azione preventiva in Africa. Due di queste ricerche, condotte una dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi e l’altra dalla University of Washington, hanno mostrato che la profilassi pre-esposizione riduce il rischio di trasmissione del virus in coppie siero discordanti fino al 73 per cento rispetto all’uso di un placebo. Un altro studio, condotto in sei paesi tra cui Botswana, Brasile e Stati Uniti, ha mostrato, invece, che persone omosessuali non sieropositive sottoposte a profilassi correvano un rischio di contrarre il virus il 44 per cento inferiore rispetto a un gruppo di controllo. Ovviamente fermo restando, in tutti i casi, l’uso del preservativo durante i rapporti sessuali (vedi Galileo, “La terapia è prevenzione, così cambia la lotta all’Aids“).

“È un’incredibile opportunità per bloccare l’epidemia”, ha dichiarato al New York Times uno degli esperti interpellati dall’FdA. A convincere i consulenti è stata non solo l’evidente efficacia del trattamento, ma anche l’esigenza di un più completo set di armi di prevenzione per far fronte a un’infezione che colpisce ogni anno 50mila cittadini americani (in Italia i dati del Ministero della salute parlano di 5,5 nuove infezioni l’anno ogni 100mila cittadini e i pazienti sieropositivi sono circa 150mila).

“Condivido a pieno la decisione del panel”, ha commentato Lucia Lopalco, direttrice dell’Unità di Immunobiologia dell’Hiv all’Ospedale San Raffaele di Milano: “Ma bisogna essere molto cauti e far passare il messaggio giusto: non è una vaccinazione preventiva da dispensare a milioni e milioni di persone, ma è adatta solo a chi è fortemente a rischio. La sua somministrazione non è priva di conseguenze. Inoltre, non va ingenerata la falsa impressione che il problema Hiv non esista più”.

Prendere questa decisione per i 22 esperti statunitensi non è stato infatti facile: numerose rimangono le questioni aperte e i consulenti della FdA hanno discusso a lungo prima di emettere il verdetto. In primo luogo c’è il rischio che il Truvada venga considerato una “pillola del giorno prima”, e che le persone abbassino la guardia adottando comportamenti a rischio. Ma a preoccupare è anche il pericolo dell’insorgenza di possibili resistenze al farmaco. Tuttavia i medici statunitensi hanno considerato i benefici maggiori dei rischi. È però importante che questo farmaco sia impiegato correttamente dagli specialisti e che vengano sempre promossi l’uso del preservativo e i test di screening. Solo in Italia, infatti, un sieropositivo su quattro non sa di esserlo.

via wired.it

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