Hiv, è ora di una cura definitiva

“Uno dei più grandi risultati della medicina moderna è stato lo sviluppo della terapia antiretrovirale contro l’Hiv“, scrive sulle pagine di Nature  Françoise Barré-Sinoussi, presidente eletta dell’International Aids Society, insieme a Steven Deeks della University of California – San Francisco. “Tuttavia, oggi meno della metà delle persone che necessitano di questo trattamento vi hanno accesso. Inoltre queste medicine salva-vita hanno effetti collaterali e devono essere prese quotidianamente, senza contare che il virus può sviluppare resistenze. È necessario quindi un nuovo approccio per affrontare l’emergenza Hiv”. 

L’approccio suggerito da Barré-Sinoussi, alla vigilia della conferenza internazionale Aids 2012, promossa dalla Società stessa, che si terrà a Washington D.C. dal 22 al 27 luglio, è quello della ricerca di una cura definitiva sicura, economica e universalmente accessibile. A rendere plausibile il traguardo è il caso, ricorda la francese, docente di virologia presso l’Institut Pasteur di Parigi, del paziente di Berlino. Nel 2007, Timothy Ray Brown, statunitense ma residente a Berlino, malato di leucemia e sieropositivo, ha ricevuto un trapianto di cellule staminali ematopoietiche (per combattere la leucemia, non l’Hiv) da un donatore naturalmente resistente all’Hiv. Da allora, sebbene non sia sottoposto a terapia antiretrovirale, i medici non hanno trovato in lui traccia del virus. “Sostanzialmente, è guarito”, scrive Barré-Sinoussi. 

Per lanciare la sua sfida alla comunità scientifica, l’International Aids Society ha sviluppato un ampio e ambizioso ventaglio di priorità per la ricerca di una cura, che sarà presentato a Washington. Tra queste priorità ci sono: determinare il meccanismo che permette la latenza del virus nell’organismo e quello di controllo naturale dell’infezione osservato in alcuni pazienti, i cosiddetti élite controllers, nei quali, pur presente, il virus è naturalmente controllato dall’organismo e il rischio di progressione e trasmissione dell’infezione è minimo; sviluppare test per misurare la persistenza dell’infezione, sperimentare strategie terapeutiche per eliminare l’infezione latente e per migliorare la capacità dell’organismo colpito di controllare la replicazione virale

La ricerca di una cura definitiva non è una strada completamente nuova, ricordano i due autori su Nature. Negli ultimi anni, tuttavia, quasi tutto il lavoro dei ricercatori si è concentrato sull’ottimizzazione della terapia e sulla messa a punto di un vaccino (e di modelli animali adatti a questo scopo come quello appena messo a punto dai ricercatori del Ragon Institute of Massachusetts General Hospital  e descritto su Science Translational Medicine). Solo pochi scienziati hanno continuato a dedicarsi alla ricerca di una cura, lavorando senza avere finanziamenti certi e nonostante la convinzione diffusa che una cura non fosse ottenibile. Aumentare il numero di scienziati coinvolti in questo sforzo sarà probabilmente un cruciale primo passo, ma sono i finanziamenti il problema principale da risolvere. 

Lo scorso anno, ricorda Barré-Sinoussi, i National Institutes of Health statunitensi hanno destinato a questo tipo di studi 56 milioni di dollari, la Foundation for Aids Research di New York 4,1 milioni di dollari, l’ Agence Nationale de Recherche sur la Sida et les Hépatites Virales francese 7 milioni di euro, e dal 2006 a oggi il California Institute of Regenerative Medicine ha speso più di 40 milioni di dollari in terapie genetiche che possano, per esempio, rendere le cellule resistenti all’ infezione da Hiv

“Tuttavia è chiaro che molte più risorse, forse centinaia di milioni di dollari annui, saranno necessari per trovare una cura. Questi finanziamenti però non possono essere tolti ad altri ambiti di ricerca prioritari come lo sviluppo di un vaccino o programmi di trattamenti salvavita che sono già sotto finanziati”, prosegue l’articolo di Nature nel quale si ricorda anche che, per aumentare l’accesso alla terapia antiretrovirale e diminuire il numero di nuove infezioni nei paesi a basso e medio reddito, occorrerebbero più di venti miliardi di dollari ogni anno, per lo meno fino al 2020. 

La nuova spinta economica dovrebbe arrivare, secondo Deeks e Barré-Sinoussi, da fondazioni private o da quei governi che stanno affrontando una crescita interna dell’epidemia, come la Cina, l’India e il Brasile

Infine, una volta ottenuti i finanziamenti, la comunità scientifica dovrà risolvere le delicate questioni etiche che la ricerca di una cura per l’Hiv solleva: la sperimentazione di nuove e potenzialmente tossiche terapie in pazienti sottoposti a terapia antiretrovirale. Per definizione questi pazienti hanno accesso alla terapia e stanno bene, quindi il rischio potenziale inflitto loro deve essere ben pesato con i possibili benefici per una più grande comunità. 

“Le barriere che ci separano da una cura definitiva per l’Hiv sono reali e potrebbero rivelarsi insormontabili”, concludono Françoise Barré-Sinoussi e Steven Deeks. “È responsabilità di organizzazioni come la Ias incoraggiare e rendere possibile la ricerca in questa area, ma devono farlo senza creare false promesse”.  

via wired.it

Credit immagine a Roel Wijnants/Flickr

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