La fioritura delle patacche

Tutto ciò che accade è come un combustibile mentale che, attraverso il canale della comunicazione, si scarica nei cervelli degli umani. Che, così, si mettono in moto consultando la propria mappa delle curiosità. Questa mappa, complessa e variegata, ognuno di noi l’ha costruita negli anni: è la “cultura individuale” acquisita, spesso, nei paesi democratici, attraverso la libertà di scelta ma, non di rado, sulla base di opportunità di impiego e di prospettive di guadagno. Orientandoci con quella mappa, viaggeremo per tutta la vita e se, per scarso spirito di avventura, visiteremo solo luoghi comuni e prevedibili, non godremo di grandi emozioni: l’importante è non finire nella galera delle dottrine senza riuscire a scapparne. Qualcuno, però, ha più coraggio e imbocca presto strade che non mostrano tracce di altri visitatori; può così imbattersi nel nuovo: anche in quel caso, due diversi atteggiamenti sono possibili, entrambi profondamente umani: il più comune è quello di chiedersi “a quale somiglia dei luoghi già visti?”; più raro è registrare i fatti come novità inspiegabili per azzardare una fenomenologia interpretativa nuova. E’ la differenza tra la comprensione, più o meno competente, e la ricerca creativa.

La nuova stagione delle patacche

Ora, il mercato sta rovesciando più combustibile del solito, da qualche tempo a questa parte: perché per qualche motivo (la noia per una politica ormai inutile? O la voglia di distrarsi dalle angosce della crisi economica? O una sorta di “famolo strano”?, direbbe Verdone) notizie variopinte e scoppiettanti invadono la scena: prima sono i neutrini a correre la cavallina con l’autorevole sciocchezza della ministra Gelmini consigliata da un addetto stampa di basso conio e alta remunerazione; poi riparte la fusione fredda in concorrenza con una patacca (o bufala, in volgare) di pari magnitudo, la fissione piezonucleare; poi, finalmente, una bellissima notizia, il bosone di Higgs al Cern di Ginevra, deturpato da “particella di Dio” (ma l’abito non fa il bosone) che piace tanto ai credenti; poi un manipolo di strologanti su un problema serio, la “massa mancante, oscura”, incombente come un fantasma nel cosmo, che alla gente fa paura; poi i “minibuchineri” di un giovanotto indo-americano che li dà grandi come un atomo ma con una massa di 1000 tonnellate (veramente, riferiscono 1000 automobili, forse un po’ più se SUV, un po’ meno se minicar). Tutto ciò si aggiunge alla pari a favole dense di inquietanti misteri: alla fine del mondo dei Maya, all’antimateria del film Angeli e Demoni, ai cerchi nel grano e agli Ufo estivi (mi fermo perché non sono abbastanza assiduo). E fioccano le e-mail di amici e conoscenti, le telefonate, le metafore per rispondere… La fioritura delle patacche si autoalimenta inesorabilmente. Come mai?

Ebbene, mi sembra che il fenomeno abbia una origine chiara: se un ricercatore distingue al volo la patacca dalla scoperta, è perché ha già sperimentato che ci sono a volte patacche autorevoli difficili da confutare e che trascinano dubbi razionalmente formulati sino a una chiara “falsificazione” come voleva Popper; mentre le patacche genuinamente tali spesso sono costellate di ingenuità che sembrano alimentate da un cattivo insegnamento delle scienze nelle nostre scuole. La fisica che si insegna, in particolare, è mascherata da scienza mendacemente semplice e determinista, che sa prevedere tutto con formule già pronte e che dicono esattamente che cosa c’è sotto e come va a finire: l’icona che presiede a questa scienza manualistica è quella del “moto uniformemente vario” che rode lo studente qualunque all’inizio di un corso canonico. Da cui segue: non ci accontenteremmo mai di saper calcolare solo la probabilità che qualcosa succeda. Se non capiamo è perché non ricordiamo quello che era incorniciato nel manuale, non perché quel fenomeno, obiettivamente, non si capisce.

Comunque, appena appare una scoperta importante o un’idea rivoluzionaria, le patacche arrivano come gli sciami dei parassiti: le mosche intorno al sottocoda delle vacche o le zecche sui cani e sui gatti. E sono recriminazioni canoniche, come i celebri “Pensieri notturni di un fisico classico” (1), una nostalgia colta ma riluttante: avevamo una scienza che andava così bene, spiegava tutto; e ora dobbiamo ricominciare tutto daccapo. E giù un saggio scritto con gli ingredienti di prima, benedetti da Galilei e Newton e ora riproposti come “patroni della scientificità”: con le loro belle linee orarie esibite come il fine ultimo della matematica applicata. Sono queste tracce di “anticaglie poco note ai più” che fanno da spia al parassitismo pataccaro: lo sforzo per seguire concezioni nuove è immane per i passatisti (2). Ma, in mezzo a questa produzione, ogni tanto si trovano le involontarie aggravanti di firme illustri che mettono in giro dei ballon d’essai di una certa allettante raffinatezza assiomatica: è successo agli albori della scienza moderna (Controversia Newton Huyghens sulla natura della luce, calorico come fluido, etere) ma anche in un più recente passato (poli e traiettorie di Regge, Teorema di Pomeranchuk e pomerone, analiticità e risonanze, ecc.) e stuoli di giovani dotati hanno perso anni di sforzi sino allo scoppio improvviso della bolla teorica improduttiva. E anche oggi, tra stringhe più o meno cosmiche, supersimmetrie, tecniquarks, ecc., ci sono tentativi dottissimi che “se son rose fioriranno” ma, al momento, sembrano erbacce.

Insomma, le possibili patacche sono una grande varietà in cui mettere ordine:

  1.  Le possibili patacche tecniche, che si presentano come elaborate assiomatizzazioni di aspetti oscuri di fenomeni con scarso corredo di dati misurati, perché situati a scale oggi ancora impraticabili come la “lunghezza di Planck”. Questi tentativi spesso generano scuole e competizioni in giovani incuriositi più da metafore esplicative e matematiche che le accompagnano che non da fatti intravisti all’orizzonte delle conoscenze. Non di rado, si tratta di trucchi che fanno convergere risultati divergenti nella matematica corrente del problema.
  2. Le patacche nostalgiche, che provano a cercare nei manuali vecchie formule che potrebbero fare al caso.
  3. Le patacche truffaldine, che puntano su etichette politiche di problemi seri: energie rinnovabili, ambiente e territorio, principio di precauzione, eccetera. Queste patacche hanno un retroterra di consenso politico che le trasforma in problemi etici in modo che non se ne debba discutere razionalmente. Spingono a bandire parole dal vocabolario e a cancellarle persino da problemi naturali che vengono così riversati nell’orrore di ciò che è artificiale e, perciò, evitabile (la radioattività, per esempio).

Una responsabilità diffusa

Restando a queste tre tipologie, è abbastanza chiaro che, con varie responsabilità, alla fioritura di patacche contribuiscono, con intenti diversi, giornalisti, insegnanti frustrati, scienziati con eccessi di astrazione e politici che hanno scoperto la caccia al consenso preoccupato (non importa se a ragione o a torto). Nel nostro paese, queste manifestazioni ci sono tutte e vengono allo scoperto in modi legittimi e illegittimi: scarsità di risorse materiali, risultati di ricerche di importanza internazionale, vanità di autori incompetenti ma prolifici, carriere e impact factor, scelte referendarie su soluzioni tecniche, esercizi letterari, e così via. Un esempio per tutti: le polemiche sugli Ogm. Meriterebbero uno studio accurato di sociopsicologia (non una sub-patacca come (3), che mette insieme bufale come la poliacqua, la memoria dell’acqua e i raggi N con il legittimo paradosso dei gemelli, provato sperimentalmente con i raggi cosmici). Ma ci sono poi le super-patacche, al di là di ogni immaginazione, come il Cristo a propulsione neutrinica che potete leggere in (4).

Il difetto principale è che tra le lacune della nostra cultura diffusa (ammesso che diffusa lo sia) ce n’è una cronica: non c’è alcuna dimestichezza con la fenomenologia e con la distinzione tra fatti e valori (5). E come potrebbe esserci se un idealismo becero ci ha fatto dimenticare che quella in cui viviamo e con cui conviviamo è una realtà e non un sarcofago per il nostro spirito o per una fantomatica anima? La fenomenologia, la più laica delle filosofie, deve riprendersi quel terreno che tanti scienziati italiani hanno presidiato a dispetto di una denigrazione ostinata che ha incatenato la cultura dominante. In questo clima, niente come lo spettacolo delle più clamorose e assurde patacche trascinate nell’arena può aiutarci a prevenire e contrastare l’indottrinamento idealistico che ha inquinato le menti abbassando tutto il pensiero interpretativo allo stesso livello di plausibiltà.

Note:

(1) Russell McCormack, Pensieri notturni di un fisico classico, Editori Riuniti 1990

2) David Goodstein, Il Nobel e l’impostore. Fatti e misfatti alle frontiere della scienza, Dedalo 2012, e Silvano Fuso, Il libro dei misteri svelati, Castelvecchi 2010

(3) Federico di Trocchio, Le bugie della scienza. Perché e come gli scienziati imbrogliano, Mondadori 1993

(4) Frank Tipler, La fisica del cristianesimo. Dio, i misteri della fede e le leggi scientifiche, Mondadori, 2008. Frank Tipler è omonimo di un fisico, Paul A. Tipler, buon autore di testi di fisica moderna di cui, evidentemente, sfrutta il buon nome.

(5) M.Cristina Amoretti, Nicla Vassallo, Piccolo trattato di epistemologia, Codice 2010

Credit immagnie a Marco aka MenfiS / Flickr

5 Commenti

  1. Tutto giusto, ma aggiungerei una considerazione: tutto questo proliferare di patacche finisce per mettere in seria difficoltà i risultati veramente rivoluzionari di oscuri ricercatori che riescono a trovare risposte convincenti a problemi altrimenti irrisolvibili. Basti pensare a quanti guai ha passato il microbiologo che aveva trovato la cura per l’ulcera. Fino a vincere il Nobel, ma dopo più di trent’anni di lotte durissime. Purtroppo non esiste un criterio unico e semplice per distinguere le patacche dalle ricerche serie, occorre esaminarle pazientemente una per una. E occorre che anche l’esaminatore si comporti in modo corretto e in buona fede.

  2. Si racconta spesso del presunto ostracismo della medicina alla scoperta del H. pylori, ma è più un mito, che la realtà. Non ho motivo di dubitare che molti medici abbiano inizialmente deriso l’idea di un germe nello stomaco (= che altro non è che una bisaccia colma di acido cloridrico!) che causasse ulcera peptica. Non è vero che vi fu comunque una dogmatica risposta negativa trentennale da parte dell’establishment medico-scientifico internazionale che causò un eccessivo periodo di tempo prima dell’accettazione di tale teoria. La storia ci racconta che l’ipotesi fu accettata con una tempistica adeguata, ovviamente solo dopo un appropriato scetticismo iniziale. Marshall e Warren si incontrarono nel 1981 e scoprirono il germe l’anno successivo e già nel 1984 pubblicano la segnalazione della presenza del germe nello stomaco su The Lancet. Nel 1988 e 1989 pubblicano – sempre su The Lancet – un paio di lavori clinici a sostegno della loro teoria, ma è con il follow-up di uno dei due studi – apparso sempre sulle pagine di The Lancet nel 1994 – che la teoria è consacrata, con un documento ufficiale dei NIH (National Institutes of Health) che dichiarano la fondatezza della teoria del H. pylori come causa dell’ulcera peptica.

  3. Un articolo .. pour parler! Mi riferisco alla “fusione fredda”. Articolo che non analizza e non riporta i fatti accaduti negli ultimi due anni. Un divulgatore scientifico non può scrivere solo basandosi su una collega che ha scritto nel 19 Gennaio 2011. E questa a sua volta fa riferimento ad un altro colega che ha scritto un aritcolo generale a marzo 2009!! Inoltre la collega, su cui si basa Bernardini, .. intervista su tema della “Fusione Fredda”, un medico chirurgo dell’UNi Bo che si occupa di ricerca sul sonno!
    Su sveglia!!! Un pò più di impegno a scrivere articoli.. altrimenti lasciamo il posto a chi ha volontà di approfondire.. sia a favore che contro la fusione fredda.

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