Uccidere costa troppo, meno guerre in futuro

I telegiornali degli ultimi giorni non aiutano a pensarlo, viste le immagini degli scontri tra Israele e Hamas, ora impegnati in una delicata fase di tregua: eppure i conflitti nel mondo stanno diminuendo. Forse non velocemente come vorremmo, ma sono pur sempre in calo, tanto che nell’arco di 40 anni il numero di paesi coinvolti in una guerra sarà dimezzato. A prevederlo è un’analisi statistica effettuata da un gruppo di ricercatori guidato da Håvard Hegre dell’Università di Oslo in collaborazione con il Peace Research Institute Oslo, che verrà pubblicata sul periodico International Studies Quarterly.

Se infatti nel 1992 un paese su quattro risultava coinvolto in una guerra, il numero era diminuito a uno ogni sei nel 2009, e, stando alla simulazione di Hegre, sarà di uno ogni 12 nel 2050. I paesi in cui la possibilità di un conflitto diminuirà maggiormente sono Algeria, Colombia, Turchia e Thailandia, mentre quelli più a rischio nei prossimi 40 anni sono Tanzania, Mozambico, Malawi e Cina.

La simulazione è stata verificata utilizzando dati relativi al periodo 1970 – 2000, prevedendo i conflitti che sarebbero dovuti avvenire tra il 2001 e il 2009. “Per quest’ultimo anno avevamo stimato una probabilità di conflitto superiore al 50% in 20 paesi. In 16 di questi è scoppiata effettivamente una guerra, dunque un tasso di errore molto basso”, commenta Hegre.

Le previsioni sono basate su diversi fattori socio-economici dei paesi analizzati: il tasso di scolarizzazione, la mortalità infantile, la proporzione di giovani nella società e il tasso di crescita della popolazione. Una guerra è definita nel modello di Hegre come un conflitto tra organizzazioni politiche o governative in cui venga utilizzata la violenza e che faccia almeno 25 vittime. “Questo vuol dire che il nostro modello non prende in considerazione guerre tribali o azioni terroristiche solitarie, come quella di Anders Behring Breivik”, precisa Hegre, riferendosi al terrorista norvegese protagonista della strage che costò la vita a 77 persone lo scorso anno.

Studiando la storia degli ultimi 40 anni, i ricercatori hanno stabilito che ad agire da freno per la nascita di nuovi conflitti in futuro saranno soprattutto i costi della guerra. “I cambiamenti economici nella società hanno reso fondamentali sia l’educazione che il capitale umano. Un’economia complessa rende la violenza politica meno attraente: uccidere le persone è diventato costoso. La società moderna dipende dallo sviluppo economico, ed è troppo dispendioso utilizzare la violenza per distruggere questo network”, spiega Hegre. “Per questo un leader cinico sarà sempre meno attratto dalla scelta della violenza come strategia”.

L’instabilità scoppiata in medio Oriente con la primavera Araba ha mostrato però una falla nel modello realizzato dai ricercatori norvegesi. A seguito di queste agitazioni, la previsione del numero di paesi in guerra per il 2050 è passata infatti dal 5 al 7 per cento. “I conflitti scoppiati in Siria e in Libia ci hanno mostrato che dobbiamo includere tra i parametri anche i processi di democratizzazione. Per questo ora stiamo lavorando per fare sì che il modello consideri anche i cambiamenti di regime”, conclude Hegre.

Riferimenti: Apollon
Credits immagine: Morning Calm News/Flickr

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