Un chip-medusa contro le cellule tumorali

È simile a una piccolissima medusa, con lunghi tentacoli formati da sottilissimi filamenti di Dna. Ma non fa male: al contrario, è in grado di catturare tipi specifici di cellule. In realtà, si tratta di un microchip, creato da un gruppo di ricercatori guidato da Jeffrey Karp del Brigham and Women’s Hospital e da Rohit Karnik del Mit, che si sono appunto ispirati alle appendici di animali marini come meduse e oloturie. Il dispositivo, descritto nelle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences, potrebbe in futuro essere utilizzato per analizzare la presenza di cellule tumorali nel flusso sanguigno dei pazienti oncologici, per controllare come rispondono alle terapie o per bloccare le metastasi prima che si diffondano nell’organismo.

L’idea di analizzare la presenza di cellule tumorali utilizzando chip microfluidici, capaci cioè di agire in volumi infinitesimali di liquidi, non è nuova. Fino a oggi, però, sembrava impossibile creare un prototipo abbastanza veloce e preciso da renderne realistico un utilizzo clinico. Per superare questo inconveniente, il chip creato da Karp e Karnik utilizza una struttura tridimensionale di Dna formata da lunghi filamenti, definiti aptameri, caratterizzati da una specifica architettura in grado di legarsi a determinate cellule: la loro superficie è rivestita da pareti con un pattern a “spina di pesce“, che aumenta le probabilità che i “bersagli” entrino in contatto con gli aptameri del chip. Queste caratteristiche forniscono al dispositivo prestazioni nettamente superiori ai modelli precedenti. 

Il test del dispositivo è stato condotto su campioni di sangue e altri liquidi biologici tenuti in rapido movimento, e ha avuto esito positivo: “Normalmente, quando si fa scorrere il liquido velocemente, le cellule non passano vicino alla superficie, ed è quindi molto difficile catturarle”, spiega Karnik. “Combinando il pattern a spina di pesce, che permette di rimescolare il fluido, e l’utilizzo dei lunghi aptameri, siamo riusciti a raggiungere un’alta percentuale di cellule catturate mantenendo al contempo un flusso di liquido molto veloce”. 

Infatti, il chip, progettato per riconoscere una proteina presente sulla membrana delle cellule leucemiche, si è dimostrato 10 volte più veloce dei suoi predecessori, riuscendo comunque a catturare dal 60 all’80 percento delle cellule bersaglio. Attualmente il dispositivo è in grado di analizzare un millilitro di sangue all’ora, ancora troppo poco per renderne pratico l’utilizzo clinico, ma i ricercatori ritengono che basterà aumentare la dimensione del chip per raggiungere una velocità di 100 millilitri all’ora, che consentirebbe l’analisi accurata di un campione in pochi minuti

“Se riusciremo ad aumentare ancora la precisione e la velocità nell’analisi del sangue, il nostro dispositivo permetterà di verificare l’efficacia dei trattamenti nei pazienti affetti da leucemia analizzando il sangue invece del midollo osseo. Un procedimento molto meno invasivo e che può essere effettuato con maggiore frequenza“, spiega Karp. “Potrebbe rivoluzionare il metodo con cui si controlla la presenza di cellule leucemiche residue”.

I ricercatori stanno ora lavorando per adattare il chip in modo che sia in grado di riconoscere e legarsi ai recettori presenti sulla membrana delle cellule metastatiche che si staccano dai tumori solidi. “Sono le metastasi a uccidere, e non il tumore primario”, conclude Karp. “Il nostro dispositivo è potenzialmente in grado di individuare queste cellule con i suoi tentacoli prima che riescano a disseminare il tumore in altri organi”.

Riferimenti: Pnas doi:10.1073/pnas.1211234109

Credits immagine: Thomas Hawk/Flickr

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