Corona solare, fotografata la “riconnessione magnetica” che la scalda

Così da vicino il Sole non era mai stato osservato: praticamente come una moneta da cinque centesimi di euro a 16 chilometri di distanza. Un dettaglio di cinque volte maggiore rispetto alle immagini mai ottenute finora, ovvero una risoluzione dell’ordine dei 100-150 Km/pixel, quando le immagini più accurate disponibili finora arrivavano sì e no a 900 Km/pixel, come spiega l’INAF. A riuscirci sono stati i ricercatori del Marshall Space Flight Center della Nasa (Huntsville, Alabama), coordinati da Jonathan Cirtain, grazie all’ High-Resolution Coronal Imager o Hi-C. Si tratta del più sofisticato telescopio per lo studio del Sole mai messo a punto, in grado di osservare immagini esclusivamente nello spettro ultravioletto estremo, montato su di un razzo sonda e lanciato nello Spazio sub-orbitale per appena cinque minuti lo scorso 11 luglio.

In questi cinque minuti il telescopio ha catturato 165 immagini. Queste, come spiegano i ricercatori su Nature, hanno portato nuove prove a favore di una tesi formulata anni fa per spiegare come mai la corona solare sia così tanto più calda della superficie della nostra stella: da 1,5 fino a 4 milioni di gradi Kelvin (MK) per la prima contro i 5800 gradi Kelvin della seconda.

“Ci sono almeno due meccanismi di riscaldamento della corona”, scrivono gli studiosi su Nature. “Uno è un sistema di riscaldamento che sfrutta onde di calore provenienti dall’interno della stella, in grado di portare le temperature a raggiungere i 1,5 MK. Tuttavia è necessario un ulteriore meccanismo per raggiungere le temperature registrate nelle zone più attive della corona: anche 4 MK”. Una teoria proposta diversi decenni fa è quella della cosiddetta “riconnessione magnetica”, un processo complicato che sfrutta il riconnettersi e rilassarsi di “ trecce magnetiche” che agendo così rilasciano una grande quantità di energia. È lo stesso meccanismo responsabile dei brillamenti solari. Evidenze a favore di questo processo sono state trovate solo in via teorica, finora infatti questo fenomeno di intrecciamento è stato osservato nella cromosfera e non nella corona.

La riconnessione magnetica visibile nelle foto

“Questa è la prima volta”, commenta Leon Golub dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysic, coautore dello studio, “che abbiamo immagini a una risoluzione abbastanza alta da osservare fenomeni di riconnessione magnetica nella corona solare. Possiamo vedere la corona in un dettaglio più preciso di cinque volte rispetto a qualsiasi altro strumento”.  E sebbene con appena cinque minuti di immagini non sia possibile identificare univocamente il responsabile del super riscaldamento della corona, il meccanismo osservato di riconnessione di campi magnetici e il loro rilassamento con conseguente dissipazione di energia sembrerebbe sufficiente a raggiungere i 4MK.

Lo straordinario strumento che ha permesso di raccogliere questi dati è stato realizzato grazie alla collaborazione di altri istituti, come il L-3Com/Tinsley di Richmond in California o il Lededev Physical Institute di Mosca in Russia, che si è occupato di mettere a punto filtri in grado di catturare solo le lunghezze d’onda desiderate.  Nuove tecniche sono servite anche per allineare gli specchi e gli strumenti nel telescopio e per montarlo sul razzo e per fare in modo che resistessero alle vibrazioni e alle condizioni termiche durante il lancio. “Questo volo rappresenta il culmine di 30 anni di lavoro spesi a sviluppare uno  strumento tanto eccezionale”, ha commentato Golub.

Il primo tassello

Il volo ha permesso di raccogliere dati solo per cinque minuti prima di rientrare nell’atmosfera terrestre, e quindi di osservare solo una piccola porzione della corona solare, scelta dai ricercatori il giorno stesso del lancio.  “ Abbiamo optato per una delle più grandi e complicate regioni attive della corona”, ha spiegato il ricercatore di Harvard, “s peravamo di ottenere qualche immagine interessante e non siamo stati delusi”.

Ora i ricercatori continueranno ad analizzare le immagini e i dati ottenuti dall’ Hi-C e sperano nel futuro di poter lanciare un satellite orbitante in grado di osservare il Sole allo stesso livello di dettaglio ma con maggiore continuità. “Abbiamo imparato così tanto in appena cinque minuti. Immaginate cosa potremmo imparare guardando il Sole 24 ore su 24, sette giorni alla settimana, con un telescopio come questo”, ha concluso Golub.

Via: Wired.it

Credits immagine: Nasa

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