Rifiuti e salute in Campania, ecco il nuovo studio

“Non c’è nesso causale accertato tra l’esposizione a siti di smaltimento di rifiuti e specifiche patologie, ma potenziali implicazioni sulla salute non possono essere escluse”. È questa la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Iss (Istituto Superiore di Sanità) nella Relazione finale sulla situazione epidemiologica della Regione Campania ed in particolare sulle province di Caserta e Napoli (città esclusa), con riferimento all’incidenza della mortalità per malattie oncologiche, lo studio presentato l’8 gennaio ad Aversa. I risultati del lavoro sono stati discussi in una conferenza stampa dal ministro della Salute Renato Balduzzi e hanno scatenato una serie di contestazioni da parte dei rappresentanti di comitati e movimenti locali.

Le preoccupazioni sulla salute della popolazione campana in relazione ai rifiuti, naturalmente, non sono nuove: già nel 2011 uno studio dell’Isde, l’associazione dei medici per l’ambiente, in collaborazione con la Sbarro Health Research Organization, aveva evidenziato le falle del sistema di smaltimento dei rifiuti urbani e industriali in Campania (vedi Galileo: Rifiuti a Napoli, la denuncia dei medici). Secondo Antonio Marfella, oncologo e tossicologo, era evidente “una grave sottovalutazione del carico di rifiuti […] con un conseguente danno sanitario per i territori metropolitani inquinati”. L’anno successivo, un lavoro di Carmine Nappi, ginecologo dell’Università di Napoli Federico II, e Bruna de Felice, della Seconda Università di Napoli, aveva rincarato la dose (vedi Galileo SGP: La spazzatura che invecchia): nel “triangolo della morte”, l’area compresa tra Aversa, Nola e Marigliano, infestata da più di mille discariche abusive, ci si ammalava e si moriva più frequentemente di altrove. In particolare, i telomeri (le sequenze di Dna che incapsulano la parte finale dei cromosomi) dei soggetti esposti all’inquinamento da rifiuti erano più corti della norma, il che si traduce in un invecchiamento precoce.

Arriviamo così allo studio di gennaio 2013: questi i punti salienti del lavoro dei ricercatori dell’Iss.

Attesa di vita e tassi di mortalità: secondo gli scienziati, in Campania si registra “una situazione generalmente sfavorevole rispetto al resto d’Italia, con una differenza di attesa di vita alla nascita inferiore di due anni rispetto alla regione Marche, che ha l’attesa di vita più elevata”. Gli scienziati precisano che comunque i tassi di mortalità sarebbero in diminuzione.

Incidenza dei tumori, tassi di sopravvivenza e mortalità: per quanto riguarda i tumori maligni, la mortalità in Campania tra gli uomini è “superiore ai valori dell’intera Italia […] con tassi particolarmente elevati per tumori di fegato, laringe, trachea-bronchi e polmone, prostata, vescica”, soprattutto nelle province di Caserta e Napoli. Secondo gli scienziati, gli eccessi sono da addebitare alla “scarsa adesione ai programmi di screening, che per la regione Campania è molto lontana dal dato medio nazionale” e alla difficoltà di accesso alle strutture sanitarie di diagnosi e cura. Non si fa alcun cenno all’inquinamento da rifiuti.

Stili di vita e fattori di rischio comportamentali: lo studio collega l’insorgenza di malattie croniche alle cattivi abitudini dei cittadini: sedentarietà, sovrappeso e fumo, che sarebbero “particolarmente più frequenti nella popolazione campana che nel resto del Paese, con tendenza all’aumento”. La situazione è particolarmente preoccupante per i minori: il 28% dei bambini di otto anni di età è in sovrappeso e il 21% soffre di obesità.

Nesso tra salute e rifiuti in Campania: è il punto più controverso del lavoro. Gli scienziati premettono che “la maggior parte degli studi riporta effetti a lunga latenza e per esposizioni a lungo termine”, che in Campania esiste “un deficit di offerta di smaltimento” e nell’intera regione non è presente “alcun impianto per lo smaltimento di rifiuti pericolosi”: ciò genera il “rischio di abbandoni incontrollati […] e di ricorso a pratiche di incendio con un’altra probabilità di emettere direttamente nell’ambiente sostanze tossiche quali gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), diossine e furani, metalli pesanti e Cov (carbonio organico volatile)”. Viene precisato, tuttavia, che in generale la popolazione è esposta ai rifiuti in modo indiretto, cioè attraverso matrici ambientali contaminate per fenomeni di rilascio di sostanze pericolose. In ogni caso, secondo gli scienziati è troppo complesso valutare il ruolo che i rifiuti svolgono nel carico complessivo di inquinanti che può arrivare all’uomo, anche perché bisognerebbe tenere conto anche del ruolo di altri fattori di rischio (ad esempio esposizioni legate a stili di vita, occupazione o altre pressioni ambientali). Dunque la conclusione: “non può essere considerato possibile” il rapporto diretto tra malattie e rifiuti.

Come rispondere alle preoccupazioni dell’opinione pubblica? Secondo gli scienziati, dal momento che “non si può ignorare l’alta percezione del rischio che avverte la popolazione residente presso siti di smaltimento rifiuti”, è opportuna una risposta di sanità pubblica proporzionata al contesto. A questo proposito, nello studio si individuano una serie di interventi volti ad ampliare la conoscenza del fenomeno e attivare un “Cantiere su Ambiente e Salute” per monitorare costantemente l’evolversi della situazione.

Credits immagine: RaBoe/Wikipedia

1 commento

  1. Che in alcune zone del napoletano , a Nord, il Ca del colon-retto abbia superato in incidenza quello polmonare la dice lunga sulle possibili implicazioni dei fattori alimentari nella genesi di tale incremento.
    Il rapporto causa-effettto per patologie come il cancro ha bisogno di tempo e dati, ma quelli gia in possesso permettono di trarre delle conclusioni.
    Non si tratta di fare allarmismi ma di dire la verita’ .
    Tante domande restano comunque senza risposta….una secretazione degli atti come quelli relativi alle dichiarazioni del pentito schiavone , ultimamente portati alla luce, e risalenti al 1997 ci fanno riflettere………..

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