Siria: come si distruggono le armi chimiche

“Gli Stati Uniti hanno la certezza che in Siria è stato usato il gas sarin”. Parola di John Kerry, secondo cui il nervino sarebbe stato impiegato da Assad per uccidere oltre 1.400 civili nell’attacco del 21 agosto scorso. Non sappiamo se le cose stanno effettivamente così — e vedremo cosa deciderà il G20 di oggi a San Pietroburgo sull’attacco a Damasco. Ma se fosse vero, un’eventuale azione militare statunitense potrebbe concentrarsi sulla distruzione degli arsenali chimici usando le contromisure sviluppate dalla Defense Threat Reduction Agency (Dtra) del Pentagono a partire dal 1998. Un’operazione che comunque, ricorda il New Scientist, comporta i suoi rischi.

Una possibilità è l’utilizzo del CBU-107 Passive Attack Weapon (Paw), in grado di forare i serbatoi di stoccaggio chimico e di ricoprirli con oltre 3.700 barre d’acciaio e di tungsteno per tenere confinato il gas. Un mezzo utilizzabile, per ovvie ragioni, solo lontano da zone residenziali e in assenza di vento.

In alternativa, è possibile cercare di bruciare il sarin mediante il BLU-119/B CrashPAD, una bomba da 900 chilogrammi contenente una piccola carica esplosiva che rompe i serbatoi con esplosioni o schegge e una gran quantità di fosforo bianco, che brucia a oltre 2.700°C, infiammando econsumando in fretta il gas. Sempre che le alte temperature e le correnti ascensionali non portino il sarin ad alta quota, il che complicherebbe di gran lunga l’intera operazione.

Per minimizzare i pericoli, comunque, il Dtra ha sviluppato, in collaborazione con l’ Air Force, uno strumento di simulazione detto Serpent, in grado di combinare modelli di esplosione, dispersione atmosferica e tasso di neutralizzazione degli agenti chimici per predire i rischi collaterali derivanti dal contrattacco. Gli Stati Uniti potrebbero anche utilizzare dei droni in grado di staccarsi dalle bombe pochi istanti prima dell’impatto e monitorare eventuali fughe di gas tossici.

C’è anche chi pensa che contromisure di questo tipo siano inutili. Anche perché, come fa notare il biofisico Brian Hanley, i componenti del sarin sono di solito immagazzinati separatamente, e mescolati solo poco prima di essere usati: “Penso che la scelta migliore”, spiega lo scienziato, “se l’intento è quello di distruggere le munizioni di sarin, sia di arrivare ai depositi via terra, prendere possesso degli arsenali, smontarli e infine evacuarli in sicurezza”. Facile a dirsi. Ma un conto è inviare degli aeroplani, altro discorso far sbarcare un esercito. Gli Stati Uniti – e il mondo – sono davvero disposti a tutto questo?

Via: Wired.it

Credits immagine: U.S. Embassy Tel Aviv/Flickr

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