Tutti i geni legati all’Alzheimer

Il Dna è di nuovo sotto indagine per capire meglio i meccanismi dell’Alzheimer. Un gruppo che comprende circa i tre quarti dei genetisti che al mondo si occupano di questa patologia, provenienti da circa 145 istituzioni accademiche, ha individuato 11 nuovi “loci” (posizioni geniche) che possono contribuire allo sviluppo della malattia, raddoppiando così il numero di geni “imputati”, che sale a 21. Pubblicata su Nature Genetics, la ricerca è frutto del Progetto internazionale di Genomica dell’Alzheimer (Igap), cui hanno partecipato diverse università italiane, e in particolare l’Università di Firenze.   

L’Alzheimer (che colpisce circa il 5% delle persone sopra i 60 anni e in Italia conta circa 600 mila malati) è una malattia neurodegenerativa causata principalmente dall’alterazione di una proteina (beta-amiloide) che si deposita come una sorta di colla tra i neuroni, provocandone la morte. Ha un decorso che segue delle fasi progressive, dal deficit di memoria a breve termine – quella per cui memorizziamo un numero di telefono – alla riduzione delle competenze sociali e cognitive, fino al declino globale di basilari attività quotidiane legate alla cura personale.

Per comprendere qualcosa di più sui fattori genetici che contribuiscono alla patologia, gli scienziati hanno studiato il Dna di 74.046 individui europei e statunitensi, di cui 25.580 malati e 48.466 sani. Per l’analisi i ricercatori hanno utilizzato i dati di quattro consorzi europei e americani, comprendenti oltre sette milioni di particolari variazioni genetiche (a singolo nucleotide, cioè che riguardano la singola unità che compone una molecola di Dna), cercando correlazioni tra sequenze geniche e rischio di patologia.

Dei risultati ottenuti, alcuni permettono di approfondire meccanismi già noti della malattia, come quelli associati alle proteine amiloide e tau, mentre altri mettono in evidenza nuove aree del cervello potenzialmente interessanti per la comprensione delle cause della malattia. Degli 11 nuovi loci correlati alla patologia, infatti, alcuni sono coinvolti nelle attività di comunicazione dei neuroni e nel funzionamento dell’ippocampo, una regione cerebrale importante per la memoria e l’orientamento, che subisce per prima danni in caso dell’Alzheimer.

“Si tratta, in tutti i casi, di meccanismi che hanno un ruolo importante nei processi che possono portare a neurodegenerazione”, ha commentato Benedetta Nacmias dell’Università di Firenze, coautrice dello studio, continuando: “Ulteriori studi sono necessari per caratterizzare queste varianti dal punto di vista funzionale, per chiarire la loro associazione con il rischio di malattia e per definire meglio il loro ruolo nella fisiopatologia dell’Alzheimer”. Nello sviluppo della malattia, infatti, sembrano essere coinvolti anche il modo in cui l’organismo gestisce il colesterolo e l’endocitosi delle cellule del cervello, cioè il processo con cui cui queste ingeriscono alcune grandi molecole.

I risultati di oggi, conclude Sandro Sorbi dell’Università di Firenze, che ha preso parte allo studio, “forniscono nuovo impulso alla ricerca, suggerendo indicazioni anche per lo sviluppo di strategie terapeutiche”.

Riferimenti: Nature Genetics doi: 10.1038/ng.2802

Credits immagine: caravinagre/Flickr

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