Come fare ricerca riducendo gli esperimenti sugli animali

esperimenti sugli animali

Gli esperimenti sugli animali si possono evitare? Non completamente, ma se ne può limitare l’uso. È quello che propongono i cosiddetti principi delle 3R: ridurre, sostituire e migliorare l’uso degli animali nei laboratori, sviluppando metodi di sperimentazione alternativi in vitro o di tipo bioinformatico. Due esempi di queste nuove tecnologie sviluppati di recente sono il “mini-fegato” cresciuto in provetta sviluppato presso il Gordon Institute dellUniversità di Cambridge, per testare nuovi farmaci contro le malattie del fegato, e le scaglie del pesce zebrato messe a punto presso la Radboud University in Olanda per identificare nuove cure contro le malattie ossee.

Tanti, troppi esperimenti sugli animali

Il numero di animali usati nella ricerca e in particolare per testare e identificare farmaci clinicamente efficaci è molto elevato. Come spiega Meritxell Huch, autore dello studio sul “mini-fegato” pubblicato l’anno scorso su Nature, per ogni farmaco che deve essere testato sono necessari almeno 50 animali per esperimento. Quando si devono provare milioni di composti, il numero di animali aumenta vertiginosamente.

Un fegato in miniatura

Il sistema sviluppato dai ricercatori britannici è un “fegato in miniatura” completamente funzionale, ottenuto facendo crescere in laboratorio le cellule staminali epatiche adulte di topo. Queste cellule, solitamente attivate nei processi di rigenerazione, sono state isolate da animali adulti grazie alla presenza di una proteina di superficie chiamata Lrg5, e fatte crescere in un mezzo di coltura specifico. In queste condizioni, formano dei piccoli organoidi o “mini-fegati” che, quando sono trapiantati in animali affetti da patologie epatiche, sono risultati perfettamente funzionali.

“Con il fegato cresciuto in provetta”, afferma Huch: “è possibile usare le cellule staminali ottenute da un solo topo per testare oltre 1,000 composti, e solo i più promettenti sono poi usati in modelli animali. Se più laboratori usassero questo sistema, il numero di cavie usate per la sperimentazione si ridurrebbe notevolmente”.

Finora è stato possibile ottenere un mini-fegato con cellule staminali di topo, di ratto e di cane e in futuro si prevede di fare la stessa cosa con cellule staminali umane. Le applicazioni di questo organo “artificiale” sono molteplici e vanno dall’identificazione di nuovi farmaci fino al trapianto di organo; per questo motivo Huch ha recentemente ricevuto il premio NC3Rs (National Centre for the Replacement, Refinement and Reduction of Animals in Research 3Rs Prize) per la realizzazione di nuove tecnologie che migliorano la ricerca e riducono l’uso di animali.

Squame del pesce zebra che si accendono

Un altro esempio di un sistema biologico “non vivente” da usare a scopi sperimentali al posto delle cavie sono le squame di pesce zebra messe a punto dall’olandese Erik De Vrieze, per testare nuovi farmaci contro le malattie ossee.

“Se si vuole studiare il metabolismo delle ossa e le sue alterazioni in malattie come l’osteoporosi, il pesce zebrato è un attimo modello”, spiega l’autore. Le sue scaglie infatti sono strutture di rivestimento in cui è immagazzinato il calcio, e funzionano in maniera simile alle ossa umane essendo costituite da cellule analoghe agli osteoblasti e osteoclasti che costruiscono l’osso nuovo e riassorbono quello vecchio. Nel caso dell’osteoporosi, per esempio, la distruzione dell’osso procede più velocemente della sua rideposizione, per cui identificare farmaci che stimolano il metabolismo degli osteoblasti potrebbe aprire le porte a una possibile cura per questa malattia. Inoltre, gli animali sono in grado di rigenerare le squame, per cui sono una fonte continua di materiale.

Per rendere il sistema più efficace per lo screening di un numero elevato di composti, De Vrieze ha modificato geneticamente gli animali in modo che esprimano una versione della luciferasi, la sostanza bioluminescente presente nelle lucciole, quando viene stimolata la formazione di un nuovo osso, e quando le cellule delle scaglie producono una proteina chiamata osterix, estremamente importante per il metabolismo osseo. In questo modo si possono testare facilmente intere librerie di composti e identificare quelli più efficaci, osservando semplicemente in quale caso i pesci si “illuminano”.

Meno esperimenti sugli animali: si può fare

Come sottolinea Kevin Shakesheff, direttore del Regenerative Medicine Hub in Acellular Materials in Gran Bretagna, “I risultati degli esperimenti sul mini-fegato e su tecnologie simili dimostrano che è possibile utilizzare tessuti prodotti in vitro o artificiali per studiare come funzionano gli organi in un essere vivente e sviluppare nuove cure”. Da un punto di vista pratico, queste e le altre nuove tecnologie, come le squame del pesce zebra, possono essere usate come piattaforme di screening di nuovi composti chimici, in modo da ottimizzare i risultati e ridurre il numero di animali usati nella sperimentazione.

Riferimenti: Nature; doi:10.1038/nature11826

Credits immagine: Peter Kemmer/Flickr

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