Arriva la dieta basata sul Dna

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Siete stanchi di diete inconcludenti? La soluzione è scritta nel vostro Dna. Uno studio approfondito dei geni coinvolti nelle preferenze alimentari e nella percezione del gusto potrebbe infatti portare a piani nutrizionali personalizzati molto più efficaci, non solo nella perdita di peso, ma anche per evitare malattie come il cancro, la depressione e l’ipertensione. Questo è quanto è stato scoperto dai ricercatori dell’Università di Trieste e dell’Irccs Burlo Garofolo, l’istituto per la salute materno infantile triestino, in uno studio presentato alla conferenza annuale della European Society of Human Genetics (Eshg).

I ricercatori friulani hanno iniziato il progetto Genome Wide Association Studies (Gwas) proprio per cercare di svelare le basi genetiche di alcune preferenze alimentari. Nella fase di studio sono stati coinvolti 2311 italiani, mentre altre 1.755 persone, provenienti da diversi paesi europei e dell’Asia centrale, sono state chiamate in seguito per verificare ulteriormente i risultati. L’analisi ha permesso di scoprire 17 geni indipendenti legati al piacere per alcuni alimenti, tra cui carciofi, pancetta, caffè, cicoria, cioccolato fondente, formaggio, gelati, fegato, olio o burro sul pane, succo d’arancia, yogurt, vino bianco e funghi. Sorprendentemente, nessuno dei geni individuati apparteneva alla categoria dei recettori già noti del gusto e dell’olfatto.

“C’è ancora molto che deve essere fatto”, spiega Nicola Pirastu, ricercatore dell’Università di Trieste che ha partecipato allo studio. “Per esempio, abbiamo trovato una forte correlazione tra il gene Hla-Doa e la predilezione per il vino bianco, ma non abbiamo idea di quale caratteristica del vino bianco influenza questo gene. I nostri studi saranno importanti per comprendere l’interazione tra l’ambiente, gli stili di vita e il genoma nel determinare lo stato di salute di una persona. Anche se ci sono stati molti lavori sulle malattie legate all’alimentazione, come l’obesità, raramente sono state prese in considerazione le preferenze alimentari. Ed è una limitazione importante a cui il nostro lavoro cerca di rimediare. Per ora abbiamo solo scalfito la superficie di questo problema”.

In un altro studio i ricercatori hanno osservato la risposta di circa 900 adulti sani del Nord Est Italia al sale e hanno trovato una variazione di sequenza del Dna sul gene Kcna5, noto per essere correlato al gusto nei mammiferi. La relazione tra percezione del sale e variazione genetica è particolarmente importante per capire le differenze individuali nel consumo di sale, che a sua volta rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di ipertensione e malattie cardiovascolari. “Questo tipo di variazioni genetiche sono ben note per il gusto amaro, dolce e umami – ha ricordato Antonietta Robino ricercatrice dell’Irccs Burlo Garofolo che ha partecipato allo studio – ma finora si sapeva poco sul loro ruolo nella percezione e nella preferenza del sale. Identificare il recettore associato a differenze individuali potrebbe aiutarci a capire meglio come le differenze chemiosensoriali possono interagire e, di conseguenza, prevedere le scelte alimentari. Ciò potrebbe anche svolgere un ruolo importante nello sviluppo di sostituti del sale e, per questo, vi è un crescente interesse commerciale”.

I ricercatori aggiungono che la ‘dieta genetica’ potrebbe essere migliore proprio perché si può adattare alle preferenze alimentari di ogni persona. In questo modo è anche più semplice da seguire, perché è facile ricordare quali cibi si amano di più o di meno, aumentandone l’efficacia. “Ad esempio – ha raccontato Pirastu – in un recente studio abbiamo applicato la nostra conoscenza di 19 geni in modo da personalizzare diete per 191 persone obese divise in due gruppi, 87 in un gruppo di prova e 104 in un gruppo di controllo. I pasti sono state quindi scelti in base ai singoli profili genetici (per esempio, alle persone il cui profilo genetico mostrava un metabolismo lipidico meno efficiente sono stati somministrati meno lipidi), ma mantenendo uguale per tutti l’apporto calorico complessivo. Ebbene, anche se all’inizio dello studio non vi erano differenze significative per età, sesso e indice di massa corporea tra i due gruppi, abbiamo scoperto che in due anni le persone nel gruppo che aveva seguito la dieta genetica avevano perso il 33% in più di peso rispetto al gruppo di controllo e in loro la percentuale di massa magra era aumentata di più rispetto agli altri”.

Dunque nel prossimo futuro, concludono i ricercatori, “studiare l’intero genoma umano aprirà nuove possibilità per lo sviluppo di diete personalizzate e di alimenti funzionali, volti a migliorare la salute delle persone e quindi la loro qualità di vita”.

Credits immagine: Gideon/Flickr

2 Commenti

  1. Personalmente ritengo la nutrigenetica di fondamentale importanza per personalizzare dieta ed alimentazione in ottica di prevenzione di malattie. Questa però deve essere gestita da un professionista in grado di tradurre realmente i dati genetici in azioni concrete. Il fai da te rende tutto inutile ed uno spreco di soldi. C’è uno spin off dell’Università di Ferrara, con sede a Bologna, NGB Genetics, che offre questi servizi ai soli professionisti adeguatamente formati a cui poi ci si può rivolgere. http://www.ngbgenetics.com

  2. Il Burlo a Trieste e sempre stato al avanguardia per studi clinici, ma anche se si parla di medicina, e importante sapere che Trieste non e’ Friuli ma ..Venezia Giulia.
    Cordiali saluti.

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