Studiare i farmaci al computer: la sperimentazione in silico

Incursioni animaliste negli stabulari, insulti in rete e minacce ai ricercatori, e poi la risposta degli scienziati, con le manifestazioni, e le iniziative del gruppo Pro-test. Sono solo alcune delle tappe della battaglia infuriata negli ultimi anni tra gruppi animalisti e il mondo della ricerca sul tema della sperimentazione animale. Una pratica fondamentale, secondo gli scienziati, per identificare nuovi farmaci e terapie, e salvare quindi milioni di vite, e invece inutile e assassina stando agli animalisti, che ritengono la “vivisezione” (come amano chiamarla) inaccettabile sul piano etico e superata su quello scientifico. Chi ha ragione? Le alternative all’uso di animali, in effetti, esistono: sono già utilizzate in molti campi della ricerca, e secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea, dal 2008 al 2011 hanno permesso di risparmiare circa mezzo milione di animali solo nel nostro continente. Una delle più recenti di queste nuove tecnologie è la cosiddetta sperimentazione in silico, ovvero l’utilizzo di software in grado di predire statisticamente il comportamento e la possibile tossicità di una sostanza chimica.

“Un tempo per scoprire se una sostanza chimica risultava tossica per l’uomo l’unica possibilità era sperimentarla sugli animali”, ci ha raccontato Emilio Benfenati, direttore del Laboratorio di Chimica e Tossicologia dell’Ambiente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. “Oggi invece esistono diverse alternative, come al sperimentazione in vitro, su cellule o su organismi inferiori come i batteri, e i metodi virtuali, la cosiddetta sperimentazione in silico, ormai sempre più diffusa”. Hanno ragione gli animalisti quindi? Non proprio. I metodi esistono e sono già in uso, ma in molti settori della ricerca non possono ancora sostituire completamente l’utilizzo di animali.

“A oggi sono stati fatti passi significativi in quella direzione. Gli animali utilizzati ogni anno nel nostro stabulario sono passati dagli oltre 120.000 di qualche decennio fa, a meno di 15.000”, ha raccontato Silvio Garattini, Direttore del Mario Negri, a margine del congresso QSAR 2014, ospitato dall’Istituto negli scorsi giorni e dedicato alle novità in ambito di sperimentazione in silico. “Al momento, tuttavia, non esistono metodi alternativi, al computer o con le cellule, capaci di dare le risposte di efficacia e di sicurezza che il modello animale, pur nei suoi limiti, è in grado di assicurare nella ricerca di nuove terapie”.

Come tutte le risorse tecnologiche, anche i le simulazioni in silico hanno infatti i loro punti di forza, e le loro debolezze. Funzionano attraverso metodi statistici, utilizzando le informazioni disponibili sulla sostanza analizzata, come profilo di genotossicità, struttura chimica, interazioni note con altre sostanze, per stabilirne effetti e proprietà tossicologiche. La loro efficacia dipende quindi dalla quantità di dati disponibili, ma i progressi in termini di affidabilità delle previsioni sono continui. “I programmi più moderni, come il Vega che abbiamo sviluppato al Mario Negri, iniziano ad essere capaci di effettuare persino dei processi di auto-verifica”, sottolinea Benfenati. “Sono cioè in grado di fornire un indice quantitativo di quanto sia affidabile la loro previsione, basato su analisi passate e le informazioni disponibili su molecole analoghe”.

Oggi la sperimentazione in silico è estremamente diffusa negli istituti di ricerca, tra le industrie farmaceutiche, che li usano per valutare le molecole su cui focalizzare i loro sforzi, e anche negli enti regolatori, che li utilizzando per valutare la sicurezza delle sostanze che vengono messe in commercio. Da un punto di vista legale però, il loro statuto varia moltissimo in base ai diversi ambiti di utilizzo. Nel mercato dei cosmetici, per esempio, le direttive europee vietano l’utilizzo degli animali, e i dati in silico, o in vitro, rivestono quindi un ruolo importante per autorizzare l’immissione in commercio di nuovi prodotti. In altri ambiti della chimica sono invece accettati, ma le agenzie regolatorie preferiscono tipicamente avere anche i dati provenienti dalla sperimentazione animale per prendere le loro decisioni.

Nell’ambito farmaceutico però, la sperimentazione sugli animali è ancora obbligatoria in tutto il mondo. “I problemi maggiori dei metodi in silico riguardano le proprietà croniche delle sostanze farmacologiche. È cioè difficile utilizzarli per predire effetti come la possibile tossicità nello sviluppo, problemi per la riproduzione, o eventuali proprietà cancerogene”, spiega Benfenati. “Quello che si fa sempre più strada è un utilizzo combinato di queste tecnologie con la sperimentazione animale, che sta diminuendo notevolmente il numero di animali necessari per la ricerca”.

Via Wired.it

Credits immagine: College of Ag Communications/Flickr

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