Contro i disturbi del linguaggio, fate giocare i bambini

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Fare le imitazioni, giocare a ‘far finta’, a tombola sonora o al girotondo delle rime. Sono solo alcune delle ‘medicine’ che vengono utilizzate dal logopedista per curare i ritardi e i disturbi del linguaggio (dislessia, disgrafia, specifici come dell’articolazione, dell’eloquio, del linguaggio espressivo e altri), problemi che colpiscono, insieme, circa il 10% dei bambini in età prescolare, e intorno al 5-6% dei bambini in età scolare.

“Occorre sempre tenere conto delle diverse situazioni cliniche in cui un logopedista si trova a definire bisogni e interventi terapeutici in campo pediatrico anche perché possono riguardare fenomeni transitori o veri e propri disturbi destinati a rimanere nel tempo”, spiega Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani, riunita nel XI Congresso Nazionale a Firenze in questi giorni, in contemporanea – e per la prima volta – con il 9° Congresso CPLOL, quello dei logopedisti europei.

Più efficace un intervento precoce

Queste considerazioni hanno generato negli ultimi anni approcci clinici diversificati e linee guida precise. “Al centro di tutto, però”, continua Rossetto, “c’è l’efficacia di un intervento precoce, per promuovere progressi linguistici a breve termine e per ridurre gli effetti cumulativi del ritardo di linguaggio, che può influire, e molto, sullo sviluppo emotivo e sul comportamento del bambino. Ed è qui, anche data l’età del piccoli pazienti, che il giocare ha un ruolo fondamentale. Così come è fondamentale che le attività siano ripetute anche nel contesto familiare, usando parole semplici ma di forte impatto comunicativo inserite in contesi di gioco che il bambino predilige e ne risulta attratto. E qui subentra il problema di genitori provenienti da paesi lontani, che parlano poco e male l’italiano e con i quali diventa molto complesso interagire e soprattutto capire se il bambino ha questo tipo di problemi”.

Giocare con le parole

Di fronte a disturbi specifici di linguaggio (dell’articolazione, dell’eloquio, del linguaggio espressivo e altri), il logopedista sceglie dunque le strategie, il contesto, gli strumenti (giochi vari o giochi di ruolo, lettura di un libro ecc.) e i materiali per produrre situazioni dove le parole conducono e vengono stimolate alla loro riproduzione in maniera indiretta. Le strategie possono essere di diverso tipo: centrate sul bambino, che promuovono l’emergere del discorso, o che modellano il linguaggio.

“Se pensiamo ad un bambino piccolo, nella fascia 1-3 anni, con ritardo di linguaggio che deve passare dalle parole onomatopeiche (ripete solo parole bisillabiche: pappa, tato, tata o versi e suoni di animali o oggetti pum pum, pèpè) ad altre più complesse”, spiega Rossetto, “dovremo agire con strategie in grado di richiamare la sua attenzione che prevedono, ad esempio, le imitazioni (il bambino imita quello che il logopedista o pupazzi e marionette dicono in un contesto di gioco). Molto importante anche igiocare ‘a far finta’. Simulare cioè situazioni di routine (preparare la pappa, mettere a nanna; il dottore: un pupazzo si è fatto male; il maestro: il bambino insegna lui ai pupazzi) che stimolano l’imitazione, e dove il logopedista interviene conducendo il ‘ruolo’ centrale e stimola il bambino nell’immedesimazione a proporre risposte con senso adeguato elaborando i vissuti personali. Con le parole, si possono esprimere tanti atti comunicativi nel bambino che viene attratto dal gioco di ruolo sentendosi anche più protagonista”.

Giocare con la voce

Anche gli oggetti possono diventare importantissimi: il bambino sceglie un oggetto che gli piace e lo interessa, il logopedista adatta il suo intervento comunicativo e linguistico sul gioco scelto. “In questo modo usa indirettamente le parole o forme verbali del bambino spesso pronunciate male, riformulandole in maniera corretta senza pretendere che il bambino le ripeta ma usandole da “sfondo”, facilitandone l’interazione. Anche giocare con la voce, come nella tombola dei suoni – cioè riconoscere gli strumenti musicali, usare la voce per esprimere le diverse intonazioni ed emozioni, produrre suoni e riprodurre melodie semplici, riconoscere i rumori all’interno di categorie diverse – può essere divertente e stimolante”, spiega ancora la presidente.

Il gioco cresce con l’età

“Se invece ci rivolgiamo alla fascia di età successiva, cioè 3-5 anni, il gioco delle imitazioni deve essere affinato, prolungando e ‘stressando’ i suoni che ci interessano, affiancandoli ad informazioni visive e propriocettive (uso dello specchio). Denominare coppie minime (pollo-bollo, sacco-tacco, lana-rana) giocare con le ‘tombole sonore’ che riproducano queste coppie minime e facendo comprendere l’errore di pronuncia quando il bambino capita nella casella (ad esempio ‘lana’ al posto di ‘rana’). In questo modo, si crea un ‘conflitto cognitivo’ che trascina il bambino alla comprensione della corretta produzione e assegnazione del giusto fonema, nella sua espressione che caratterizza il Disturbo Specifico di Linguaggio”. La scelta del clinico di adottare un tipo di approccio rispetto a un altro, dovrebbe essere motivata sempre dagli esiti di una Valutazione ed un Bilancio Logopedico delle competenze comunicative e cognitivo- linguistiche.

“Relativamente al tipo di disturbo si possono individuare interventi che hanno varie forme, quelle centrate sul bambino di tipo diretto o di gruppo, quelle centrate sui genitori ai quali si fornisce un supporto diretto tipo training di gruppo o individuale oppure la combinazione di più di una opzione. Il logopedista ha una peculiarità nel suo intervento che mira a fornire cambiamenti significativi nel comportamento comunicativo-linguistico, la peculiarità è quella che utilizza le parole per avere altre parole”, conclude Rossetto.

Credits immagine: Natalie Woo/Flickr CC

 

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