La sindrome vaporosa del Secolo dei Lumi

Quella dell’utero vagabondo per spiegare l’isteria non è stata l’unica fantasiosa teoria a cui i medici del passato si abbandonarono [1]. In questo articolo parleremo di quella dei vapori formulata dal medico Jean Fernel (1497-1558), il quale attribuiva l’origine dell’affezione isterica a un vapore nato per fermentazione dei succhi uterini. Questo vapore non procederebbe però come un effluvio “esterno”, ma per “camminamenti interni” [2]: Invero la causa dell’accesso isterico è un vapore proveniente dall’utero che attraversa non solo le vene o le arterie,ma anche dei piccoli condotti nascosti ed è chiaramente velenoso e così maligno e pernicioso da ottundere le facoltà delle parti da esso raggiunte e da interrompere le loro funzioni. Quanto alla natura di questo vapore, è freddo e melancolico a causa dei molti veleni che contiene. Il luogo di esso invece è l’utero, nel quale tanto il sangue mestruale quanto il seme lì racchiuso,come qualsiasi altro umore, possono corrompersi dando luogo a questo veleno maligno.

Però, ben presto si pose il problema che, a soffrire di manifestazioni tipicamente isteriche, fossero anche gli uomini, esseri per cui non si poteva attribuire una malattia generata da corruzione di succhi uterini. Tale problema venne risolto dagli autori di scuola inglese che, a cominciare dal medico Thomas Willis (1621-1675), si basavano sulla malattia come originata da un malfunzionamento del sistema nervoso, il nervous stock [1]. Analizzando i sintomi, Willis notava non solo che le manifestazioni isteriche erano identiche nelle donne appartenenti a diversi ceti sociali o fasce d’età, ma riscontrabili – esattamente con le stesse modalità- negli uomini. Bisogna infatti riconoscere proprio a Willis il merito di aver scagionato l’utero e gli umori come causa dell’isteria e di aver accumunato l’isteria femminile all’ipocondria maschile. A questo punto però è opportuno specificare che l’ipocondria di cui si parla è assai diversa da quella intesa oggi. Non è infatti la preoccupazione ossessiva per la propria salute ad essere qui trattata ma la “melanconia ipocondriaca”, uno stato caratterizzato da paura e timore, accompagnato da evidenti disturbi della digestione e sintomi connessi, cioè da fenomeni interessanti l’ipocondrio, la zona addominale sottostante le ultime costole.

Per entrare nel vivo della concezione del tempo riguardo l’ipocondria, possiamo rifarci ad Andrè Du Laurens, (1558-1609): “La melanconia è un delirio non dovuto a febbre, accompagnato da paura e tristezza. Noi chiamiamo delirio lo stato in cui risulta alterato lo stato di una delle potenzialità nobili dell’anima, quali l’immaginazione o la ragione. In tutti i melanconici l’immaginazione è turbata al punto che essi si costruiscono mille fantasie di oggetti  inesistenti […]. Ci sono tre differenti melanconie: una viene da un vizio proprio del cervello, l’altra viene per simpatia da tutto il corpo, quando tutto il temperamento e tutta l’abitudine sia melanconica; l’ultima viene dagli ipocondri, cioè dalle parti che vi sono contenute, e soprattutto dalla milza, dal fegato e dal mesentere. La prima si chiama assolutamente e semplicemente melanconia, l’ultima melanconia ipocondriaca o ventosa (…) La [melanconia] ipocondriaca di lunga data è accompagnata ordinariamente da un’infinità di malaugurati sintomi che, mettendo i malati in forte angoscia, fanno pensare loro di stare per morire; oltre alla paura e alla tristezza, che sono segni comuni a tutti i tipi di melanconia, essi avvertono un ardore agli ipocondri, sentono continuamente rumori e fracasso in tutto il ventre e vanno spetezzando dappertutto. Un’oppressione al petto li forza a raddoppiare la respirazione, che è perciò accompagnata da un sentimento di dolore. Sputano un’acqua sottile e chiara e avvertono una fluttuazione nello stomaco, come se questo nuotasse in acqua; sentono un movimento violento e straordinario del cuore, che viene chiamato palpitazione, e, dalla parte della milza, c’è qualcosa che li morde e batte in continuazione”. [4]

Però, una volta spiegate le somiglianze tra isteria e ipocondria, restava irrisolta una questione fondamentale: perché le due patologie confluiscovano nel termine vapori? Dobbiamo ricordare che Fernel parla di “vapore freddo e melanconico” per descrivere la causa dell’isteria, quindi già qui si potrebbe ravvisare una prima possibilità di unire le patologie isteriche a quelle melanconiche. Esse vanno unitamente chiamate “vapori”, un termine  che permane a lungo, sia tra i pazienti sia tra i medici, racchiudendo in sé una sintomatologia corrispondente a sindromi psichiatriche molteplici. Per spiegare meglio il significato di vapori ci pare utile riportare alcune testimonianze dell’epoca. Cominciamo con Rousseau: “Sentendomi più debole, divenni più tranquillo e perdetti un poco la smania di viaggiare. Divenuto più sedentario, fui preso non da un senso di noia ma da melanconia: i vapori presero il posto delle passioni e il mio languore divenne tristezza; piangevo e sospiravo per un nonnulla e sentivo che la mia vita se ne andava prima di averla assaporata”.[6]

Anche Goldoni non è da meno quando nelle Memorie parla dei suoi vapori: “Riavutomi dall’accecamento in cui mi aveva piombato il fervore dalla giovinezza, ripensavo con orrore al pericolo che avevo corso[1]. Ero allegro per natura, ma andavo soggetto fin dall’infanzia a certi vapori ipocondriaci e malinconici, che offuscavano il mio spirito. Colpito da un accesso violento di questa malattia letargica, cercavo di distrarmi, ma non ne avevo i mezzi; i miei comici erano partiti, Chiozza non mi offriva alcuna attrattiva di mio gusto, la medicina non mi piaceva[2]. Ero diventato triste, pensieroso; dimagrivo a vista d’occhio. I miei genitori non tardarono ad accorgersene; mia madre per prima mi fece delle domande in proposito e le confidai i miei crucci.” [7]

Dalla descrizione fatta da Goldoni si sarebbe indotti a identificare i vapori con la nostra depressione, ed infatti non si è troppo lontani dal vero, anche se in verità con questo termine si comprendevano spesso tutta una mistura di altri malanni. Significativa anche la testimonianza di una delle più famose vaporose del Settecento, Madame Du Deffand, nella sua corrispondenza pluriennale con Voltaire, usa ripetutamente frasi del genere: “Tutte le condizioni e tutte le specie viventi mi appaiono egualmente infelici, dall’angelo fino all’ostrica; il brutto è l’essere nati, e non si può dire peraltro di questa disgrazia, se non che il rimedio è peggiore del male.” [6]

È proprio da così tanti riferimenti che è possibile notare la forza evocativa della parola qui presa in analisi. I fratelli de Goncourt, scrivono dei vapori in un ritratto affettuoso della donna nel Settecento: “Il mondo, la vita del mondo, ecco quello che rende innanzitutto la donna vaporosa. Lo snervamento le viene da quella vita di veglie che vale alle donne il nome di lampade, quella vita tutta notturna che le lascia andare a dormire solo quando è giorno. Le viene una febbre a causa di quella vita, di quel tormento delle notti del tempo, che è l’insonnia, che, già sotto la Reggenza, fa rigirare le donne nel letto fino alle sette del mattino, e più tardi […] dà la grande disperazione di non poter dormire. E non è ancora niente, contro la salute della donna, quella vita materiale del mondo, paragonata alla sua vita morale. Il gioco incessante di tutte le facoltà, l’ambizione, la gelosia, la guerra delle rivalità, l’eccitazione dello spirito, dell’amabilità, il lavoro della grazia, le delusioni, le mortificazioni, le vanità che sanguinano, le passioni che bruciano, tutto questo costituisce un’altra febbre che mina e scuote il delicato organismo della donna!” [8]

Nel contempo la sindrome vaporosa si arricchisce di molti altri significati. Uno degli ultimi medici a parlarne è Pierre Pomme (1735-1812), autore di un fortunato trattato sull’argomento, che li ritiene talmente vari e multiformi da impiegare un’intera pagina per elencarne i sintomi. L’evoluzione della psichiatria passerà dai vapori al magnetismo animale di Franz Anton Mesmer (1734-1815), precursore dell’ipnotismo. I suoi studi saranno parte del sottostrato culturale di Charcot, alle cui lezioni assisterà il giovane Freud.

Bibliografia:

1) G.Gatti, Quando l’utero era vagabondo, 2014,

2) J.Fernel, Universa Medicina, BNF, pp.306-307

3) A. Du Laurens, Discours de la conservation de la vene des maladies mélancoliques, des catarrhes, & de la vieillesse; A Rouen, Chez Claude le Villain, 1600. (BNF) pp.120-122;180-181

4) J.J.Rousseau, Les confessions, vol.1, 1959, ed. Folio, p.283

5) C.Goldoni, Memorie, 1993, Einaudi tascabili, p.35

6) Lettera a Voltaire del 28 ottobre 1759. p. 249 di Marie Du Deffand, Correspondance complète de la Marquise Du Deffand avec ses amis le président Hénault, Montesquieu, d’Alembert, Voltaire, Horace Walpole, BNF

7) E. e J. de Goncourt, La donna nel Settecento, 1983, Feltrinelli, p.241

N.B. I testi che riportano la dicitura BNF sono stati prelevati dall’archivio della Biblioteca Nazionale di Francia http://www.bnf.fr/fr/acc/x.accueil.html

[1]Qui Goldoni si riferisce all’incontro, quando era ancora quattordicenne, con una ragazza, la cui famiglia cercò di incastrarlo.

[2] Il padre di Goldoni, medico, intendeva indirizzarlo verso quella stessa professione.

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