World Aids Day, continua la corsa al vaccino contro l’hiv

hiv
(Credits: Inter-American Division/Flickr CC)

37 milioni e 18 milioni. I numeri che in estrema sintesi descrivono l’epidemiologia dell’hiv – rispettivamente quello delle persone che convivono con il virus e di quelle che stanno ricevendo la terapia antiretrovirale (Art) – singolarmente dicono poco. Se da una parte appare chiaro che sono tante le persone affette dal virus e poche ancora quelle incluse nel regime di trattamento che ha rivoluzionato la gestione del virus, dall’altra nascondono i successi e le sfide che ancora ci attendono.

Dal 2005 al 2015 la percentuale di persone con Hiv a conoscenza del proprio stato è cresciuta dal 12 al 60%, portando più dell’80% di quelle con diagnosi a ricevere la Art. Ma milioni, soprattutto per ignoranza della loro condizione, ne restano ancora fuori. Quando invece sappiamo ormai che le terapie antiretrovirali non sono solo terapie salvavita ma funzionano anche come prevenzione contro la diffusione del virus. La terapia antiretrovirale previene la trasmissione del virus e funziona anche come profilassi nei soggetti a rischio. Ma prevenzione non significa solo antiretrovirali: la caccia a un vaccino contro l’hiv continua. E proprio a ridosso del World Aids Day, la Giornata mondiale per Aids e hiv, arriva la notizia del lancio di un nuovo importante trial per un vaccino contro l’hiv.

È opinione di diversi esperti, infatti, che le infezioni da hiv – che in Italia diminuiscono leggermente: nel 2015 sono state 3.444 le nuove diagnosi, pari a un’incidenza di 5,7 nuovi casi ogni 100mila residenti – non cesseranno fin quando non verrà messo a punto un vaccino. La sperimentazione appena lanciata è particolarmente importante perché è una nuova versione dell’unico vaccino contro l’hiv ad aver mostrato qualche protezione contro il virus, quello della sperimentazione RV144 in Thailandia, anche noto come il Thai trial, condotto su oltre 16mila persone.

Era il 2009 e i risultati del trial dimostravano per la prima volta che esisteva un vaccino che, sebbene in modo limitato, riusciva a prevenire l’infezione da Hiv. Si trattava allora di una combinazione di due vaccini in realtà, l’Alvac e l’AidsVax che da soli si erano mostrati inefficaci ma insieme sembravano avere una modesta efficacia (sebbene trial e interpretazione siano stati al centro di una lunga discussione). Le due componenti del Thai Trial – che ha mostrato un’efficacia di prevenzione di circa il 30% nel follow-up di tre anni e mezzo – erano un vettore contenente versioni ingegnerizzate di tre proteine dell’hiv (env, gag e pro) e un vaccino basato su una proteina geneticamente ingegnerizzata della superficie del virus, la gp120.

Il nuovo studio si chiama Hvtn 702, è basato sul vaccino testato in Thailandia, ma modificato per essere specifico contro il sottotipo di hiv presente nell’Africa Meridionale e con un adiuvante nello scopo di generare una maggiore risposta immunitaria nell’ospite, diverso anch’esso da quello usato nel trial Rv144. Tutta la sperimentazione, spiegano gli esperti dai National Insitutes of Health che supportano lo studio, è stata costruita nel complesso non solo per aumentare la risposta immunitaria nella potenza ma anche nella durata.

Il trial, infatti, in questo caso verrà condotto su 5.400 uomini e donne in Sudafrica, tra i 18 e i 35 anni senza hiv. Un banco di prova importante quello del Sudafrica, un paese dove le infezioni da hiv procedono al passo galoppante di mille nuove ogni giorno. I partecipanti allo studio riceveranno tutti 5 iniezioni nel giro di un anno e saranno divisi, casualmente, per ricevere o il vaccino sperimentale o un placebo. Durante tutto lo studio la salute dei partecipanti verrà monitorata per ricevere, laddove si presenterà l’infezione, il supporto e la cura da parte degli operatori sanitari, anche per quel che riguarda le avvertenze necessarie per evitare di trasmettere il virus. Le strategie di prevenzione tradizionali saranno disponibili ovviamente per tutti i partecipanti allo studio. I risultati non si avranno che nel 2020.

“Anche un vaccino di efficacia moderata”, ha spiegato Anthony s. Faucy, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), l’ente degli Nih che seguirà lo studio, “potrebbe diminuire significativamente il peso dell’hiv nel tempo in paesi e nelle popolazioni con alti tassi di infezione da hiv, come il Sudafrica”.

Ma perché, a oltre trent’anni dalla scoperta del virus, non abbiamo ancora un vaccino? E perché continuiamo a cercarlo? Potrà sembrare ovvio ma non è scontato: i vaccini storicamente sono stati, al di là dei detrattori, la misura più efficace che abbiamo per prevenire le malattie infettive. Un vaccino (preventivo) contro l’hiv, ricordano gli esperti, è la migliore speranza che abbiamo per controllare e mettere fine all’epidemia del virus. Anche se funzionasse solo parzialmente perché permetterebbe comunque di diminuire il numero di persone che si infettano e quindi il numero di quelle che potrebbero trasmettere il virus.

Ma hiv è un virus difficile. Robert Gallo, coscopritore del virus insieme a Luc Montaigner, nel 2005 pubblicava un commento su Lancet in cui riassumeva le principali difficoltà nella messa a punto di un vaccino contro l’hiv. Come l’impossibilità di fare con hiv quando fatto per altri virus, ovvero di produrre dei vaccini con virus attenuati o morti per il pericolo di riattivazione delle particelle virali o la mancanza di modelli animali adeguati a replicare l’infezione umana. Non da meno, anzi, sono le peculiarità del virus dell’hiv, la sua estrema mutabilità e variabilità, che costringerebbero il sistema immunitario a combattere un nemico sempre diverso, ma ancor prima la cecità del sistema immunitario al virus stesso. L’hiv, come retrovirus, si integra nel dna delle cellule ospiti, nascondendosi dalla sorveglianza del sistema immunitario. Senza considerare che l’hiv infetta le cellule del sistema immunitario che i vaccini dovrebbero risvegliare e non ci sono casi di pazienti guariti dall’hiv (escludendo il paziente di Berlino) che esclude la possibilità di avere a disposizione dei casi di guarigioni che gli scienziati possano replicare. Qualche speranza potrebbe venire dalla scoperta di anticorpi in grado di neutralizzare diversi ceppi.

Via: Wired.it

Leggi anche: Hiv: le cure e le sfide della ricerca oggi

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here