Sherpa, i droni per i soccorsi in alta quota

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Per la prima volta, uomo e robot collaborano per il soccorso degli individui dispersi ad alta quota grazie ad un progetto coordinato dall’Università di Bologna e finanziato dall’Unione europea: si chiama SHERPA (Smart collaboration between Humans and ground-aErial Robots for imProving rescuing activities in Alpine environments) ed è un sistema a servizio dei soccorritori basato sull’uso di droni, robot, aereomodelli ad ala fissa.

Obiettivo di SHERPA è raggiungere luoghi oggetto di slavine in pochi minuti e localizzare i dispersi travolti dalla neve, mentre sistemi alternativi impiegano ore o sono addirittura inagibili in alcune situazioni. Il tutto salvaguardando anche i soccorritori stessi, grazie all’uso di robot nominati come animali: “falchi” (aeromodelli), “asini intelligenti” (rover) e “vespe” (droni). Elementi che compongono il progetto SHERPA, ideato da giovanissimi ricercatori europei guidati dal DEI (Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione) dell’Università di Bologna.

Un’innovazione sociale nata da un progetto partecipato a livello europeo che mette la tecnologia al servizio dei soccorritori e che infatti ha trovato la collaborazione e l’interesse del Soccorso Alpino del CAI (Club Alpino Italiano) e dei Carabinieri. Un progetto scientifico mai così attuale e opportuno visto il grande numero di incidenti in alta quota causati dalla neve.

Adesso, dopo quattro anni di sviluppo, il progetto SHERPA è stato testato nella sua interezza durante l’Integration Week appena conclusa a Davos che ha visto la presenza di tutti i soggetti operativi guidati dal DEI di Bologna: l’Eth di Zurigo, l’Università di Leuven in Belgio, l’Università di Napoli Federico II, l’Università di Linkopings in Svezia, l’Università di Twente in Svizzera, l’Università di Bremen in Germania, quindi due aziende (la Bluebotics di Losanna, specializzata in robotica, e l’Asla Tech di Bologna, specializzata in droni) e il Club Alpino Italiano come “end user” del progetto. Questo network di eccellenze europee ha creato contaminazione tra settori diversi per creare un prodotto originale e unico.

SHERPA è un sistema di droni da cielo e da terra in grado di lavorare in condizioni estreme: il suo obiettivo primario è la localizzazione esatta in pochissimo tempo di una persona sepolta fino a 3 metri sotto la neve. Questo sistema si articola sull’uso di tre elementi robotici: i “patrolling hawks” (falchi di pattuglia), gli aeromodelli che fanno il primo screening della zona colpita; gli “intelligent donkeys” (asini intelligenti), i rover che trasportano su terra i “trained wasps” (vespe allenate), ovvero i droni in grado di fotografare le aree colpite, riportare dati utili anche in condizioni avverse grazie alle telecamere ad infrarossi e registrare i segnali radio ARVA, cioè gli impulsi del segnalatore che ogni scalatore o sciatore esperto porta con sé.

È la prima volta che si combina un sistema di droni a supporto del soccorritore alpino, che rimane sempre il leader dell’azione: è lui quello che in SHERPA è chiamato il “Busy Genius” (genio occupato), ovvero colui che riceve un supporto tecnologico dalle macchine ma che rimane sempre il leader delle operazioni.

“L’integrazione uomo-robot in SHERPA è adattativa – spiega il prof. Lorenzo Marconi del DEI di Bologna, coordinatore del progetto SHERPA e del corso di studi in Ingegneria dell’Automazione dell’Università di Bologna – cioè quando l’uomo è presente, le macchine sono al suo servizio, viceversa quando il soccorritore è impegnato i robot agiscono in maniera autonoma. In che modo? Selezionando informazioni utili e quindi cercando di semplificare il lavoro dell’operatore: infatti, la guida dei droni viene fatta attraverso comandi gestuali e vocali e il sistema SHERPA è in grado di capire dal tono di voce e dal comportamento umano se in quel momento l’uomo è troppo impegnato o emotivamente stressato per guidare al meglio le operazioni. Qualora così fosse, SHERPA si regola di conseguenza, cercando di semplificare il lavoro umano. È importante infatti ricordare che il soccorritore è il ‘genio’ e può sempre bypassare i robot: in SHERPA, l’uomo è sempre più in alto nella scala gerarchica”.

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Il progetto SHERPA nasce come risposta all’esigenza sociale di intervenire in modo più efficace nei soccorsi in alta quota. Infatti, la situazione dei dispersi per valanghe nell’arco alpino è sempre più drammatica: secondo il CAI, si è passati dai 1300 del 1955 ai circa 8mila del 2014. «Sono aumentati i frequentatori della montagna, soprattutto sciatori ed escursionisti. Così aumentano anche le persone a rischio, senza togliere il fatto che alcune calamità siano dovute al surriscaldamento globale», spiega Adriano Favre, Direttore del Soccorso Alpino Valdostano.

Come alpinista, Favre ha scalato gran parte delle principali montagne al mondo e da oltre quarant’anni si occupa di soccorso: era presente con il suo team anche nelle recenti operazioni di ricerca dei superstiti all’Hotel Rigopiano in Abruzzo. “Il progetto SHERPA – continua – è un aiuto validissimo per la risoluzione ad un problema che nasce dalla domanda dei soccorritori: ottimizzare le ricerche dei dispersi. Siamo così più efficienti con meno persone: e i sistemi di localizzazione di SHERPA arrivano anche laddove non c’è copertura gps2.

Inoltre, SHERPA è rapidissimo e invia in pochi minuti informazioni che normalmente richiedono ore: così, chi di solito morirebbe, vive. Perché una persona sepolta dalla neve può essere recuperata ancora in vita entro 30 minuti dal fatto ed entro 90 può presentare ancora funzioni vitali: ma è il reperimento entro i primi 15-20 minuti ad essere il più rilevante in termini di sopravvivenza. Per questo SHERPA fa la differenza in termini di efficacia rispetto alle tecnologie esistenti comparabili.

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