Tutti pazzi per gli esopianeti, perché?

esopianeti
(Credits immagine: Nasa)

L’eco della notizia non si è ancora spenta: sono ormai passati due mesi dall’annuncio della scoperta del sistema planetario Trappist-1, ma quei sette lontanissimi esopianeti continuano a stimolare il nostro immaginario, facendoci sentire un po’ meno soli nel cosmo. E a rappresentare un grande risultato scientifico, punto d’arrivo di un percorso iniziato negli anni Novanta con la scoperta del primo pianeta extrasolare. Gli astronomi però non sono tipi da restare con le mani in mano e stanno già preparando le prossime mosse. Ne parliamo con Giovanni Picogna, ricercatore dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera (Germania), attivo da diversi anni nel campo della ricerca di pianeti extrasolari.

Dottor Picogna, cosa dobbiamo aspettarci dai “cacciatori di pianeti” in un prossimo futuro?
“Ci sono diversi progetti sui quali contiamo per scoprire nuovi esopianeti e studiare meglio quelli già noti. Alcuni sono già in corso, come le osservazioni condotte da terra con il radiointeferomentro ALMA nelle Ande cilene o lo strumento Harps Nord, installato al Telescopio Nazionale Galileo, l’osservatorio italiano alle Canarie. C’è poi il satellite Gaia dell’ESA, attivo dal 2013. Un anno importante sarà il 2018, in quanto dovrebbero essere lanciati in orbita il James Webb Telescope, considerato il successore dell’Hubble Space Telescope, e i satelliti TESS della NASA e CHEOPS dell’ESA. Abbiamo qualcosa già in agenda per il 2024, ossia l’osservatorio spaziale PLATO, anch’esso dell’ESA. Nei prossimi anni, insomma, avremo di che divertirci”.

Ma con quali metodi si conducono le ricerche di esopianeti?
“Ce ne sono vari. I più comuni sono quello dei transiti e delle velocità radiali. Il metodo dei transiti si basa sull’osservazione di una diminuzione periodica della luce che riceviamo da una data stella. Ciò è dovuto al passaggio, tra noi e l’astro, di un esopianeta che orbita attorno alla stella stessa. Durante il transito, infatti, il pianeta blocca un po’ della luce proveniente dalla stella, che appare meno luminosa. È questo il metodo che ha permesso di scoprire i pianeti di Trappist-1. La tecnica delle velocità radiali, invece, consente di scoprire un pianeta dal suo influsso gravitazionale sul moto della stella centrale. C’è poi la strategia di scoprire un pianeta osservandolo direttamente, tecnica efficace soprattutto per pianeti distanti dalla stella centrale, in quanto meno ‘sommersi’ dalla luce dell’astro. Un altro metodo è quello basato su un particolare fenomeno noto come lente gravitazionale. In questo caso, l’esopianeta viene scoperto per il fatto che il suo campo gravitazionale devia la traiettoria della luce di stelle lontane. Infine c’è il cosiddetto metodo astrometrico, che si basa sul moto della stella centrale attorno al baricentro del sistema planetario, dal quale si può dedurre la presenza di pianeti. Nonostante non abbia ancora portato alla scoperta di nessun pianeta, questa tecnica è ritenuta molto promettente per il futuro”.

Intanto abbiamo portato a casa la scoperta di Trappist-1. Perché è stata così importante ?
“L’importanza di Trappist-1 è fortemente legata alla ricerca di vita al di fuori del Sistema solare. Tutti i pianeti hanno le dimensioni della Terra e ben tre di essi si trovano nella cosiddetta fascia di abitabilità, ossia alla giusta distanza dalla stella affinché ci possa essere acqua allo stato liquido in superficie. Siccome sappiamo che l’acqua liquida ha portato allo sviluppo della vita sulla Terra, possiamo immaginare che lo stesso accada per Trappist-1. C’è poi il fatto che la stella centrale del sistema è una cosiddetta nana rossa. Le nane rosse sono il tipo di stella più comune nella galassia, e il fatto che possano circondarsi di un sistema planetario aumenta la nostra fiducia nella possibilità di scoprire nuove Terre”.

Le notizie su Trappist-1 hanno avuto una grande eco sulla stampa. Ma è davvero una scoperta così unica o si conoscono altri sistemi planetari?
“Al momento si contano circa 3500 pianeti extrasolari e diverse centinaia di sistemi planetari, tutti scoperti nella nostra galassia. Ci sono poi circa 4000 corpi celesti che potrebbero essere pianeti e per i quali attendiamo conferme osservative. Si ritiene che i pianeti più comuni nella nostra galassia siano le cosiddette ‘super Terre‘, ossia corpi con una massa grande fino a circa dieci volte quella della Terra. Anche se, per ironia della sorte, proprio nel nostro Sistema solare non c’è neanche una super Terra!”.

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP della Sapienza Università di Roma

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