I virus possono scatenare la celiachia

celiachia
(Foto via Pixabay)

Ormai tutti abbiamo familiarità con i termini “celiachia” e “glutine”, soprattutto da quando gli alimenti gluten free sono diventati – senza un fondato motivo – una delle ultime mode salutistiche. Ma forse non è chiaro a tutti che la celiachia – quella vera, che si appura con esami medici specifici – è una seria patologia autoimmune che può provocare, se non diagnosticata, gravi conseguenze all’organismo. Quello che invece non è chiaro proprio a nessuno – che sia medico, paziente o altro – è come si sviluppi la malattia celiaca, quale ne sia la causa scatenante. Oggi però uno studio della University of Chicago e della University of Pittsburgh School of Medicine svela qualcosa in più sui meccanismi alla base della celiachia. Pubblicata su Science, la ricerca dimostra come alcuni reovirus, comuni virus gastrointestinali solitamente innocui, possano contribuire a determinare la comparsa della celiachia in soggetti geneticamente predisposti.

La celiachia è un disturbo autoimmune dovuto a una spropositata reazione infiammatoria dell’organismo contro il glutine, un termine generico usato per indicare alcune proteine del grano, della segale e dell’orzo. La risposta immunitaria dell’organismo a queste proteine è così aggressiva da danneggiare l’intestino, in particolare il tratto del tenue, delle persone affette. Le manifestazioni della celiachia possono essere diverse da individuo a individuo (crampi addominali, diarrea, dimagrimento ma anche sintomi extraintestinali), ma l’unica terapia per tutti è praticare una dieta ferrea senza glutine. Dalla celiachia, infatti, ad oggi non si guarisce e la dieta è il solo modo per tenere sotto controllo l’infiammazione cronica dell’intestino, che alla lunga può portare a gravi conseguenze, tra cui anche il cancro.

Il meccanismo che provoca la reazione anomala del sistema immunitario al glutine non è ben noto. Uno studio del 2011 aveva riscontrato nell’intestino di pazienti celiaci valori di IL-15, una particolare molecola infiammatoria, molto più elevati di quelli di persone sane, ipotizzando che potesse essere un fattore scatenante. Tuttavia non è una costante di tutti i celiaci.

Il progetto attuale, invece, si inserisce in un filone di ricerca diverso, volto a verificare l’azione dei virus nell’insorgenza di malattie autoimmuni come, appunto, la celiachia o il diabete di tipo 1. Il team guidato da Bana Jabri, della University of Chicago, e da Terence Dermody, della University of Pittsburgh School of Medicine, ha dimostrato che alcuni virus intestinali, o reovirus, possono indurre il sistema immunitario a reagire in modo eccessivo al glutine, creando un precedente per lo sviluppo della malattia celiaca. In particolare i ricercatori hanno testato sugli animali l’effetto dell’infezione da parte di due ceppi di reovirus umani molti simili tra loro ma con alcune differenze genetiche: uno ha determinato la reazione del sistema immunitario al glutine, l’altro no. “Siamo rimasti sorpresi dalla scoperta di un potenziale legame tra reovirus e la malattia celiaca” ha affermato Dermody “ora siamo in grado di definire con precisione i fattori virali responsabili per l’induzione della risposta autoimmune”.

Queste osservazioni sembrano supportate dalla presenza nei pazienti celiaci di livelli più alti di anticorpi contro i reovirus rispetto al resto della popolazione. Secondo gli esperti queste sono le prove che un’infezione da reovirus, che solitamente non ha conseguenze rilevanti, lasci un segno indelebile nell’organismo di individui geneticamente predisposti, orientando il sistema immunitario verso l’ipersensibilità al glutine.

Sulla base di queste evidenze scientifiche, gli autori dello studio hanno avanzato un’ipotesi sulla combinazione di fattori che porterebbero all’insorgenza della celiachia. Di norma lo svezzamento dei neonati inizia verso i sei mesi di vita, un’età in cui i bambini sono più suscettibili alle infezioni perché il loro sistema immunitario non è ancora maturo: in individui geneticamente predisposti, spiega Jabri, contrarre un’infezione da reovirus in questa fase della vita potrebbe “lasciare una sorta di cicatrice che poi ha delle conseguenze a lungo termine. Ecco perché crediamo che una volta che avremo effettuato più indagini potremo pensare di vaccinare bambini ad alto rischio di sviluppo di celiachia”.

Riferimenti: Science

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