La (ri)scoperta delle terapie psichedeliche

Dalla fine degli anni Novanta dello scorso secolo, la ricerca in clinica psichiatrica ha manifestato un crescente interesse per le possibili terapie psichedeliche, cioè per l’utilizzo delle sostanze psichedeliche, allucinogene, nel trattamento dei disturbi mentali[1].Esistono ormai numerosi studi con promettenti risultati sull’utilizzo della psilocibina, principale agente psicoattivo di circa 100 specie di funghi allucinogeni, nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo[2], della depressione resistente[3], del tabagismo[4], dell’alcolismo[5]. Anche la ketamina sembra essere efficace nei soggetti con depressione maggiore resistenti agli antidepressivi[6], come pure l’Ayahuasca, una bevanda allucinogena preparata a partire dalle liane di Banisteriopsis e usata nel bacino amazzonico[7].

Un’altra sostanza psichedelica estensivamente studiata per il trattamento delle dipendenze è l’ibogaina[8]. L’ibogaina è uno dei vari alcaloidi presenti nelle radici della Tabernanthe iboga, un arbusto nativo dell’Africa centro-occidentale. I primi studi sistematici sul possibile utilizzo di questa sostanza per la disintossicazione sono stati avviati dal National Institute of Drug Abuse (NIDA) nel 1991 ma poi abbandonati nel 1995. Alla fine degli anni Novanta le indagini venivano rilanciate da altri centri di ricerca, con interessanti risultati nella clinica delle dipendenze da eroina[9]. Una recente analisi retrospettiva condotta su 75 soggetti dipendenti da alcol, crack, cocaina (72% poliabusatori) in trattamento con terapia cognitivo-comportamentale in combinazione con ibogaina (2 somministrazioni nel corso del trattamento) sembra suggerire una possibile utilità di questo psichedelico nel mantenimento dell’astinenza[10].

Ancor più numerosi sono gli studi in corso d’opera sull’utilizzo delll’ecstasy nella terapia della depressione[11], dell’ansia[12], delle sindromi da stress post-traumatico[13].

Tra le varie sostanze psichedeliche, tuttavia, e assieme all’ecstasy, l’LSD è quella che oggi forse presenta elementi di interesse maggiori per la psichiatria e le neuroscienze, sia per la natura peculiare dei suoi effetti, sia per la possibilità di eseguire studi di tipo retrospettivo su persone che ne hanno sperimentato le potenzialità terapeutiche come pazienti. Ciò anche perché l’LSD è stato estensivamente usato come agente o sussidio farmacologico in psichiatria per circa vent’anni, dalla fine degli anni Quaranta alla metà degli anni Sessanta. E dalla storia degli usi medici dell’LSD si possono trarre importanti lezioni per le ricerche ora in corso, per eventuali teorizzazioni sulla psicofarmacologia della malattia mentale e per la messa a punto di strategie di ricerca e uso di nuovi presidi terapeutici.

La scoperta dell’LSD e l’uso clinico

L’LSD-25, o dietilamide dell’acido lisergico, veniva sintetizzata nel 1938 da Albert Hofmann presso i laboratori Sandoz a Basilea. Come indica il suo nome, era il venticinquesimo derivato chimico dell’acido lisergico, uno degli alcaloidi presenti nella Claviceps purpurea, piccolo fungo a forma di corno che infesta alcune graminacee come la segale (nota in erboristeria come “segale cornuta“). In maniera analoga a molte sostanze psicoattive, la Claviceps purpurea ha storicamente occupato un posto importante nella farmacopea. Essa veniva usata da secoli soprattutto dalle levatrici per la sua capacità di indurre le contrazioni uterine e arrestare quindi l’emorragia post-partum. Per tale ragione, negli anni immediatamente successivi alla sua scoperta, gli studi sull’LSD si concentravano principalmente sulle sue potenziali applicazioni in ginecologia[14].


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Il 16 aprile 1943, però, Hofmann si intossicava accidentalmente durante la preparazione di un nuovo campione di l’LSD, scoprendone i potenti effetti allucinogeni. Hofmann faceva quindi provare l’LSD ad alcuni volontari della Sandoz e successivamente riferiva i risultati di queste prime osservazioni a Walter Stoll, della clinica psichiatrica di Zurigo[15]. L’articolo del 1947 con cui quest’ultimo rendeva pubblici i sui suoi studi sugli effetti dell’LSD scuoteva la comunità scientifica, dando impulso ad un numero impressionante di ricerche cliniche e farmacologiche in tutto il mondo (Stoll, 1947). Due anni più tardi, lo psichiatra svizzero Gion Condrau proponeva per la prima volta l’uso di LSD in psicoterapia, ipotizzando che l’esperienza psicheledica poteva rendere più profondo ed intenso, quindi più efficace, il processo terapeutico[16].

1950, Lsd per studiare le patologie della mente

L’approccio suggerito da Condrau faceva rapidamente proseliti. Lo stesso anno, nel 1949, lo psichiatra Anthony Busch provava ad introdurre l’LSD in psicoterapia[17] e Max Rinkel portava l’LSD dalla Sandoz e iniziava all’ospedale psichiatrico di Boston la prima sistematica sperimentazione della storia dell’uso di LSD in clinica psichiatrica. Assieme al suo assistente Robert Hyde, Rinkel provava la sostanza su cento volontari e riportava i risultati iniziali nel maggio 1950 al congresso annuale dell’American Psychiatric Association. Rinkel riferiva che l’LSD era in grado di produrre un “disturbo psicotico transitorio” in soggetti sani. Le implicazioni dell’annuncio di Rinkel andavano ben oltre la clinica psichiatrica. Esse dimostravano, da un lato, la possibilità di riprodurre artificialmente una condizione psicotica per studiarla in un contesto controllato e sperimentale e, dall’altro, suggerivano un possibile modello di spiegazione biologica, farmacologica dei disturbi psicotici.

Successivamente, Rinkel e Paul Hoch sviluppavano l’approccio di indagine del modello della psicosi, ovvero la ricerca sulle basi biochimiche della schizofrenia attraverso la «condizione psicotica sperimentale» instaurabile con la somministrazione di LSD, anche per questo riclassificata come sostanza psicotomimetica[18] . Sulla base di questo modello, Albert Kurland portava l’LSD in clinica psichiatrica avviando la più grande ricerca sulle eventuali proprietà terapeutiche dell’LSD nel trattamento della schizofrenia in ambito ospedaliero.

Il modello sperimentale della psicosi avanzato da Rinkel e Hoch costituiva inoltre la base teorica delle ricerche sull’antagonismo tra LSD e vari altri agenti farmacologici[19] , ovvero delle relazioni  tra LSD e una serie di sostanze endogene, soprattutto la serotonina[20]. Un promettente approccio per la scoperta di nuovi indirizzi di farmacoterapia della schizofrenia sembrava delinearsi dalla possibilità di impedire la manifestazione degli effetti dell’LSD attraverso la premedicazione con varie sostanze, ovvero il blocco e l’annullamento della psicosi sperimentale con la somministrazione di altri farmaci ancora.

Allo stesso tempo, il modello sperimentale della psicosi indotta da LSD costituiva il paradigma concettuale dal quale venivano declinate una serie di ipotesi biochimiche sull’etiopatogenesi della schizofrenia[21], in particolare le teorie della malattia psicotica come tossicosi, come difetto enzimatico o metabolico costituzionale del sistema nervoso. In questo senso, il modello della psicosi ha rappresentato un passaggio fondamentale nella rivoluzione neuropsicofarmacologica che si realizzava negli anni Cinquanta, con la scoperta contestuale degli effetti antipsicotici della clorpromazina, della reserpina e delle altre fenotiazine; la sintesi e l’uso in clinica degli antidepressivi triciclici, degli inibitori delle monoaminossidasi, dei primi ansiolitici; l’identificazione delle amine biogene quali mediatori nervosi e sul loro possibile ruolo (in particolare la serotonina) nei disturbi schizofrenici[22].

Gli studi finanziati dalla Cia e lo stop dell’Onu

Nei primi anni Cinquanta, l’utilizzo dell’LSD in clinica si diffondeva rapidamente in tutto il mondo. Pur contrastanti, i resoconti pubblicati moltiplicavano gli approcci terapeutici. Anche il National Institute of Mental Health nel 1953 iniziava a finanziare la ricerca sull’LSD[23]. Lo stesso anno la Sandoz inaugurava un redditizio rapporto con la Food and Drug Admisnitration statunitense e con la CIA, interessata a verificare le potenzialità dell’LSD quale arma psicohimica, da usare nelle operazioni di guerra e nelle azioni di intelligence[24]. Una notevole parte delle ricerche e delle applicazioni dell’LSD in medicina condotte negli USA vennero così finanziate in maniera diretta o occulta dalla CIA.

I dati raccolti in quei primi anni, sembravano non soltanto avvalorare l’ipotesi di Condrau ma suggerire che la terapia assistita con LSD poteva dare risultati significativi con categorie di pazienti allora ritenuti difficilmente trattabili col lavoro psicoterapico come gli alcolisti, i tossicomani, le persone affette da disturbi della condotta o del controllo degli impulsi, nei disturbi d’ansia e addirittura i bambini autistici.

Nei primi anni Sessanta gli psicologi della Harvard University, Richard Alpert e Timothy Leary iniziavano le controverse sperimentazioni con LSD e psilocibina che portavano alla loro espulsione nel 1963, contribuivano alla crescente diffusione dell’uso voluttuario e ricreativo di questa sostanza e all’allarme sociale per il dilagante abuso. La Sandoz nel 1965 interrompeva la produzione di LSD; mentre tra il 1961 e il 1971, l’ONU, rispettivamente con la Convenzione sulle sostanze narcotiche e quella sulle sostanze psicotrope imponeva dure restrizioni all’uso e anche agli studi sperimentali. La ricerca sulle eventuali potenzialità terapeutiche degli allucinogeni veniva di fatto arrestata.

Tuttavia, sino a quegli anni, era stata accumulata una massa enorme di osservazioni e dati sugli effetti di queste sostanze, pubblicati su circa 1000 lavori a stampa sino al 1961[25] eseguiti su un numero stimato di 40.000 soggetti umani[26]. Al di là della distorsioni ideologiche e del vacuo misticismo che accompagnò l’esplosione dell’uso dell’LSD e anche di certe ricerche sugli allucinogeni negli anni Sessanta e ne determinò il bando, questi dati rappresentavano un patrimonio di conoscenze straordinario che non ha potuto vivere il suo normale corso scientifico, tra validazioni, controlli, confutazioni, sviluppi laterali, senescenza teorica.

Finalmente, dopo mezzo secolo sembra giunto il tempo di indagare secondo il metodo scientifico, al di là di pregiudizi o ciechi fanatismi, le potenzialità delle sostanze psicotrope, come l’LSD e gli altri allucinogeni, che forse più di tutte hanno segnato l’immaginario e l’evoluzione della cultura del Ventesimo secolo.

Riferimenti bibliografici

[1] Facciamo in questo testo solo alcuni esempi per le sempre più numerose indagini in questo filone di ricerca. Per una trattazione estensiva di queste nuove ricerche si veda la recente review di Albert Garcia-Romeu, Brennan Kersgaard e Peter H. Clinical applications of hallucinogens: A review. Experimental and Clinical Psychopharmacology, Vol 24(4), Aug 2016, 229-268.

[2] Moreno, F. A., Wiegand, C. B., Taitano, E. K., & Delgado, P. L. (2006).vSafety, tolerability, and efficacy of psilocybin in 9 patients withvobsessive-compulsive disorder. Journal of Clinical Psychiatry, 67,1735–1740.

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[14] Ad esempio, Stoll WA, Hofmann A, Partialsynthese von Alkaloiden vom Typus des Ergobasins (6. Mitteilung uber Mutterkorn-alkaloide). Helv. chim. Acta. 26: 944, 1943.

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Foto: LSD blotter paper, via wikipedia

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