Campi Flegrei, supervulcano sorvegliato speciale

Campi flegrei
(Credit: Nasa via Wikipedia)

Il supervulcano dei Campi Flegrei è sempre più un sorvegliato speciale. E il livello di allerta eruzione nella zona resta giallo, ovvero tale da richiedere un monitoraggio continuo da parte della comunità scientifica, senza che però ci sia alcuna implicazione in merito agli aspetti di protezione civile. A far tornare a parlare del supervulcano uno studio condotto dagli esperti dell’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) sezione di Napoli insieme ai colleghi dello University College di Londra, pubblicato sulle pagine della rivista Nature Communications. Gli autori dello studio, in particolare, hanno proposto un nuovo modello per la previsione delle eruzioni, che mette in correlazione sismicità e deformazione del suolo per capire se, come e quando il sistema vulcanico potrebbe entrare in eruzione.  Effettivamente, stando ai risultati del lavoro, sembra che il supervulcano stia attraversando una fase di irrequietezza simile a quella che precedette di circa un secolo l’eruzione del 1538.

Ma, prima di diffondere allarmismi, va specificato che si tratta, per l’appunto, solo di un modello, e che nonostante i segnali indichino che c’è una dinamica in atto nella zona, non è possibile determinare se tale agitazione porterà effettivamente a un’eruzione.

I Campi Flegrei, zona ad altissima densità abitativa, sono sempre stati un’area estremamente interessante dal punto di vista geologico. Si tratta, in particolare, di una cosiddetta caldera, ovvero una depressione del suolo formatasi in seguito allo svuotamento di una camera magmatica probabilmente dovuto a due grandi antichissime eruzioni, l’Ignimbrite campana di 40mila anni fa e il Tufo giallo napoletano di 15mila anni fa. L’ultima attività significativa è l’eruzione del 1538. “Parliamo di supervulcano”, ci spiega Stefano Carlino, uno degli autori dello studio, ricercatore all’Osservatorio vesuviano dell’Ingv sezione di Napoli, “perché la sua attività potrebbe essere altamente esplosiva e comportare il rilascio di migliaia di chilometri cubi di magma, il che potrebbe addirittura innescare cambiamenti climatici su scala molto vasta”.

Dal 2012, come accennavamo, la zona dei Campi Flegrei è stata classificata a livello di allerta giallo, dal momento che si è iniziato a registrare un innalzamento del suolo sempre più veloce – dell’ordine di qualche millimetro al mese – e che si sono intensificati gli eventi sismici nella regione. Tra le possibili ragioni di tale sollevamento, ci spiega ancora Carlino, c’è l’azione di fluidi sotterranei la cui pressione aumenta per effetto del riscaldamento dovuto al magma o una lenta iniezione del magma stesso. Elementi che impongono di tenere la guardia alta e continuare a monitorare strettamente il suolo campano.

Nel loro studio, gli scienziati hanno proposto un nuovo modello concettuale che si basa sull’osservazione delle deformazioni del suolo comparate al tasso di sismicità, ovvero sull’analisi dello sforzo cui sono soggette le rocce vulcaniche rispetto allo sforzo massimo sostenibile. “Sostanzialmente”, dice Carlino, “se la crosta terrestre non riesce più a reggere la deformazione, vi si possono creare delle fratture che, a loro volta, possono aprire la strada al magma sottostante”. Importante ricordare, però, che al momento non è chiaro quale sia esattamente lo stato del magma sotterraneo: “Per valutarlo”, spiega l’esperto, “abbiamo proposto di effettuare una perforazione profonda del suolo, oltre i 4 chilometri: solo in questo modo potremo formulare ipotesi più precise sulle dinamiche in atto”.

Il modello proposto, in particolare, ha evidenziato che il trend attuale di sollevamento del suolo sembra ricalcare quello che precedette l’eruzione del 1538, e quindi, in questo senso, potrebbe essere considerato un “precursore a lungo termine” di un’eventuale eruzione. “La progressiva evoluzione verso una completa fratturazione dei sistemi vulcanici soggetti a grandi deformazioni”, aggiunge Chris Kilburn, ricercatore allo University College di Londra e coautore del lavoro, “può chiarire anche le cause di altre eruzioni, come quella avvenuta nel 1994 della caldera di Rabaul, in Papua Nuova Guinea, avvenuta dopo un modesto episodio deformativo, di una decina di centimetri, in un’area che però aveva già accumulato, nei decenni precedenti, alcuni metri di sollevamento”. Al momento, la situazione attuale è questa: il suolo dei Campi Flegrei si è sollevato di circa 45 centimetri negli ultimi anni, ha continuato a farlo a una velocità media di alcuni millimetri al mese e ora sta attraversando un momento di apparente stabilità. “Secondo il nostro modello, da prendere con le pinze”, conclude Carlino, “stimiamo che un ulteriore innalzamento di 5 metri potrebbe far raggiungere le condizioni critiche”. Ragione in più per continuare a guardare da vicinissimo il supervulcano.

Via: Wired.it

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