Tumori neuroendocrini: a che punto siamo?

(Istituto Nazionale dei Tumori) – Il lato umano di un congresso di alto livello scientifico: accade oggi all’Istituto Nazionale dei Tumori- INT nel corso della 3RD MILAN NET CONFERENCE (Via Venezian 1; aula A, ore 8.00-18.00). Per un giorno, i maggiori esperti internazionali di tumori neuroendocrini (NET) fanno il punto sullo stato dell’arte nell’ambito della cura, della diagnosi e della ricerca su queste particolari forme tumorali. Insieme a loro, i pazienti, che svolgono un ruolo importante. “È un format di aggiornamento ad alto livello unico nel suo genere”, spiega Vincenzo Mazzaferro, Direttore dell’Unità di Chirurgia dell’Apparato Digerente e Trapianto di Fegato – Istituto dei Tumori Milano. “Lo richiede la malattia stessa, che ha un’enorme eterogeneità: le cellule tumorali neuroendocrine, non essendo organo-specifiche, infatti, possono originare in qualsiasi distretto del corpo perché sono ubiquitarie. I NET sono tumori complessi che esigono un approccio multidisciplinare che deve rimanere una costante nella storia clinica di ogni singolo paziente poiché ha un impatto favorevole sulla prognosi della malattia”.

I tumori neuroendocrini (NET) si originano dalle cellule neuroendocrine e possono colpire organi anche molto diversi tra di loro, come intestino, pancreas, polmoni, tiroide. In Italia si registrano 4-5 nuovi casi all’anno ogni 100 mila persone e in circa il 70% dei casi riguardano il tratto gastro-entero-pancreatico. Sono tumori ad alta prevalenza: 28-33 pazienti su 100 mila. Questo perché la sopravvivenza è estremamente lunga e con una buona qualità di vita. In otto casi su dieci, infatti, la malattia è pressoché asintomatica anche negli stadi avanzati. “Nel nostro Istituto questa è una realtà da decenni e ci ha permesso di ricevere nel 2010 il certificato di eccellenza da parte dell’ENETS, European Neuroendocrine Tumor Society e di entrare nella rosa dei migliori Centri in Europa per la diagnosi e la cura dei NET e per la ricerca di nuove strategie”, sottolinea Enzo Lucchini, Presidente Istituto Nazionale dei Tumori.

L’INT è l’unico centro italiano dove viene eseguito il trapianto di fegato in caso di tumore neuroendocrino. A dimostrarne i vantaggi è lo studio a firma Vincenzo Mazzaferro, pubblicato di recente sull’American Journal of Transplantation. I risultati parlano da sé. Il “guadagno” in termini di sopravvivenza a oltre i dieci anni è in media di circa quaranta mesi (circa tre anni) per chi subisce il trapianto di fegato, contro sette mesi tra chi viene sottoposto alle terapie tradizionali. “I criteri di scelta sono estremamente selettivi, perché il trapianto deve essere eseguito solo in quei casi dove il vantaggio è massimo”, precisa il Professor Mazzaferro. “Il tumore deve essere di origine gastroenterica, a grado basso oppure intermedio di aggressività, nella regione non devono più esserci linfonodi intaccati dalla malattia e il fegato deve essere l’unico organo con metastasi che però devono avere aggredito al massimo la metà dell’organo. Infine, tra i criteri c’è anche l’età: oltre i 60 non si potrebbe effettuare, tranne casi eccezionali da valutare al momento”.

Quali le novità dal punto di vista delle strategie terapeutiche? “All’INT sono in corso alcune ricerche importanti che ci permetteranno di offrire ai nostri pazienti anche maggiori opzioni di terapie rispetto allo standard”, afferma Jorgelina Coppa, Chirurgia Epatobiliopancreatica e Trapianto di Fegato, Istituto dei Tumori di Milano. “Al momento, per esempio, è in corso un trial in fase due che prevede per la prima volta l’utilizzo di un anticorpo anti-PDL1 nei tumori neuroendocrini del distretto gastro-entero-pancreatici e polmonari. Si tratta di un nuovo campo di applicazione dell’immunoterapia nel panorama della terapia anti-tumorale, anche se ad oggi ancora da esplorare. I primi risultati stanno comunque evidenziando regressioni tumorali durevoli”.

IL CONTRIBUTO DEI PAZIENTI

Sapere ascoltare il malato è alla base di qualsiasi terapia ed è per questa ragione che la seconda parte della giornata è dedicata alle persone e alla loro qualità di vita. È anche l’occasione per il confronto tra pazienti e scoprire come gli altri affrontano le diverse problematiche. “La diagnosi risale al 1998, me ne sono accorta alcuni mesi dopo il parto della mia seconda figlia perché dimagrendo, era rimasto un insolito rigonfiamento all’altezza del fegato”, sottolinea Fabrizia, 53 anni, libera professionista, due figli, presente al meeting con la sua testimonianza. “Nell’arco di tre anni, fino al 2001, sono stata sottoposta prima all’asportazione del tumore primitivo che era al mesentere, poi a cinque cicli di chemio-embolizzazione perché erano state evidenziate delle metastasi. Infine, l’iscrizione alla lista trapianti per il fegato. Avevo due figli piccoli, il mio lavoro: ho vissuto 17 mesi in una sorta di limbo, chiedendomi la ragione di un trapianto, perché non avevo problemi di salute: è difficile accettare una malattia che non “sfianca” l’organismo. Il mio fisico ha reagito bene al trapianto di fegato che considero un grande dono e oggi mi sottopongo a due controlli generali all’anno”.

La caratteristica dei NET è di dare raramente sintomi e per questo i pazienti possono mantenere una buona qualità di vita. Vanno aiutati però a superare l’impatto psicologico inevitabile con la malattia. “A luglio 2015 ho subito l’asportazione dello stomaco e a dicembre dello stesso anno ho avuto un secondo intervento, per un carcinoma al fegato”, racconta Vincenzo, 48 anni, impiegato. “Sono rientrato quasi subito al lavoro, l’unica limitazione riguarda l’alimentazione, ma complessivamente sto bene. Ero uno sportivo, la mia passione era la gran fondo in mountain bike e i medici mi hanno spinto a ricominciare: certo, al momento non riesco a percorrere gli stessi chilometri di prima, ma essere “salito in sella” e ricominciare, è una bella vittoria”.

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