L’avanzata dei nanofarmaci, tra rischi e potenzialità

nanofarmaci
(Foto: via Pixabay)

di Milena De Nicola e Antonella Clemente

I nanofarmaci sono una realtà in crescita vertiginosa. Secondo uno studio della Food and Drug Administration pubblicato su Nature sono sempre più numerose le richieste di registrazione di questi prodotti presentate all’autorità regolatoria americana. Si tratta principalmente – fanno sapere dall’Agenzia – di nuovi farmaci investigazionali (65 per cento delle richieste), il 17 per cento riguarda invece nuove applicazioni di farmaci esistenti. Ma cosa è un nanofarmaco, e quali sono le sue caratteristiche? Lo abbiamo chiesto a Fanny Caputo, esperta di nanomateriali impiegata presso la European Nanomedicine Characterisation Laboratory, una piattaforma internazionale che ha lo scopo di caratterizzare nanofarmaci per determinare l’assenza di effetti tossici.

Dottoressa Caputo, in cosa consiste un nanofarmaco?
“Un nanofarmaco è tale se le dimensioni nanometriche di almeno uno dei suoi componenti gli conferiscono delle proprietà particolari, grazie ai quali acquisisce dei vantaggi clinici rispetto ai farmaci tradizionali”.

Quali sono le potenzialità di un nanofarmaco rispetto a un farmaco tradizionale?
“Un nanofarmaco spesso consiste in una nanoparticella che incorpora e protegge il principio attivo, veicolandolo nel sito di azione, dove viene rilasciato in maniera controllata. Ciò permette di massimizzare l’efficacia del principio attivo, permettendo di ridurre la dose, e quindi gli effetti indesiderati. Inoltre l’incorporazione contemporanea di più principi attivi all’interno dello stesso nanovettore, o lo sfruttamento delle proprietà fisico-chimiche peculiari dei materiali nanometrici permettono di combinare sinergicamente effetti terapeutici e diagnostici nella stessa formulazione. In questo modo si può, ad esempio, visualizzare un tumore e indurre la morte delle cellule tumorali somministrando la stessa sostanza o utilizzare due effetti farmacologici sinergici per raggiungere l’effetto desiderato con più efficacia”.

Come si dimostra che un nanofarmaco è sicuro e può essere commercializzato?
“Quando si utilizzano delle nanoparticelle, oltre alla composizione chimica di tutti i componenti del sistema e alla farmacocinetica, occorre conoscere e controllare le loro dimensioni, la loro aggregazione nel plasma, la loro capacità di rilasciare il principio attivo, la loro stabilità etc. Tutti questi parametri vanno caratterizzati e controllati in fase di produzione del nanofarmaco per essere sicuri dell’efficacia e dell’assenza di effetti collaterali dannosi per il paziente. Questa è la ragione per cui è molto difficile e dispendioso arrivare a dimostrare che una nanofarmaco è sicuro e che può essere sperimentato nei pazienti. Le grandi potenzialità sono intrinsecamente legate alla complessità del sistema”.

Riferimenti: Nature

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma

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