Smettere di fumare: perché una pillola non basta

di Daniel Lawrence Amram e Stefano Canali

La nicotina, più di ogni altra sostanza d’abuso, coinvolge sistemi di neurotrasmissione, recettori che modulano diverse funzioni dei neuroni di differenti sistemi funzionali nel cervello e perfino circuiti neuroendocrini. Per questo la ricerca sui meccanismi della dipendenza da nicotina è così complessa e conseguentemente problematica e incerta la messa a punto di farmaci per il trattamento di questa condizione così diffusa e associata a enormi danni di tipo sanitario e sociale.

Per esempio, per contrastare il rinforzo positivo della dipendenza da nicotina è da tempo in uso la terapia sostitutiva nicotinica, o la vareniclina e  citisina. Questi tipi di trattamento agiscono, sui recettori nicotinici dell’acetilcolina come agonisti o agonisti parziali e possono quindi “saziare” il tabagista rispetto al bisogno di nicotina. Questi trattamenti funzionano, come evidenziato dagli studi di efficacia, ma non bastano. La loro efficacia è evidente nei pazienti “che desiderano smettere di fumare”, o in alternativa “che ricevono un supporto comportamentale”. (1).

Agire sui neurotrasmettitori monoamminergici

Questa efficacia parziale è dovuta al fatto che la nicotina non agisce solo sui recettori specifici dei neuroni colinergici. Come tutte le altre sostanze psicoattive capaci di indurre abuso e dipendenza, la nicotina innesca il rilascio forzato di dopamina nel sistema della ricompensa. Ed è questa azione che dà alla nicotina l’effetto di rinforzo sul consumo e, nel tempo, porta alla costruzione delle memorie procedurali, dei comportamenti automatici e compulsivi della dipendenza da tabacco. La ripetuta attivazione forzata del sistema della ricompensa indotta dalla nicotina porta a un relativo scarimento del neurotrasmettitore che principalmente ne media le funzioni: la dopamina.

Per il recupero del tabagista, quindi, è necessario smantellare le memorie procedurali che attivano il consumo con la presenza di stimoli che richiamano la sigaretta e quindi il desiderio di fumare. Ma questa azione va necessariamente preceduta e accompagna da un ripristino dei livelli di dopamina nel sistema della ricompensa, il quale in questo modo sarà in grado di motivare e attivare comportamenti alternativi al consumo.

Questo si ottiene attraverso un farmaco che aumenta la permanenza nelle sinapsi della dopamina bloccando il processo di ricattura che segue ogni singolo evento di trasmissione dell’impulso da un neurone all’altro. Un farmaco con questa azione è il bupropione, che peraltro ha un utilizzo anche nel trattamento della depressione. Anche in questo caso il trattamento funziona, ma non del tutto. (2).

L’efficacia parziale è dovuta all’esistenza di altri circuiti nervosi coinvolti dall’assunzione di nicotina, come quelli che usano la noradrenalina, un altro neurotrasmettitore della stessa classe farmacologica della dopamina e come la dopamina al centro dei processi emotivi e motivazionali. L’astinenza da nicotina, il rinforzo negativo, cioè la motivazione a eliminare uno stato spiacevole o doloroso, provoca il relativo scaricamento della noradrenalina. Usare un farmaco come la nortriptilinache blocchi a livello sinaptico la sua ricattura dovrebbe risolvere il problema, anche perché essendo un antidepressivo triciclico dovrebbe pure agire sulla componente affettiva simil-depressiva della sindrome da astinenza. Anche l’uso della clonidina ha una logica terapeutica simile. Questo farmaco potenzia le funzioni dell’adrenorecettore a2 con cui la noradrenalina interagisce e quindi potrebbe ripristinare le funzioni della noradrenalina “perduta” senza costringere il tabagista ad accendere l’ennesima sigaretta. Intervenire sulle funzioni dei circuiti della noradrenalina funziona. Ma non troppo. (3).  L’azione della nicotina è assai complessa e dunque esistono altri sistemi cerebrali coinvolti, sistemi che usano altri neurotrasmettitori, come, ad esempio, la serotonina.

Nell’astinenza da nicotina si osserva infatti carenza di serotonina nel lobo prefrontale anteriore e nei siti profondi del cervello emotivo, del sistema limbico. Questa evidenza ha suggerito di usare farmaci in grado di potenziare le funzioni di recettori specifici della serotonina, come il buspirone oppure agenti capaci di bloccare la ricattura della serotonina e quindi aumentarne la disponibilità per la neurotrasmissione. Questi ultimi sono i famosi antidepressivi SSRI come la fluoxetina. Anche questo tentativo ha mostrato limitata efficacia negli studi di cessazione di fumo di tabacco e potrebbe ridurre la gravità dell’astinenza solo in persone che vogliono smettere di fumare. (3).

Tutti i neurotrasmettitori di cui abbiamo paralto sinora sono delle monoammine. Da qui l’idea di trattamenti capaci di bloccare le monoamminossidasi, gli enzimi che degradano la quota di questi neurotrasmettitori non ricatturata dopo la mediazione chimica dell’impulso nervoso. In questo modo infatti si dovrebbe impedire il relativo scaricamento di tutti questi neurotrasmettitori che si osserva nel tabagismo. Un inibitore selettivo, delle monoamminossidasi-B la selegilina, è stato proposto come trattamento del tabagismo, ma al di là dell’ottimismo dettato dalla teoria, i risultati anche associati con intervento comportamentale breve ripetuto (BRBI) non sono risultati incoraggianti. (6).

L’intervento sugli oppioidi e i cannabinoidi endogeni

La nicotina infatti interagisce anche con altre classi di neurotrasmettitori, come gli oppiodi endogeni e gli endocannabinoidi. Il sistema oppioide contribuisce all’attivazione del sistema della ricompensa, al rilascio di dopamina e quindi agli effetti rinforzanti delle sostanze d’abuso. Questa proprietà neurofarmacologica giustifica l’uso di naltrexone, un antagonista che blocca i recettori del sistema oppioide (4) e quindi attenua gli effetti euforizzanti e ricompensanti che può dare la nicotina. Anche l’azione del naltrexone ha dei limiti nel trattamento del tabagismo. Questo farmaco può risultare utile prima del tentativo della cessazione del fumo di tabacco per ottenere una significativa riduzione del numero di sigarette, cosa che a sua volta attenua i sintomi negativi o penosi della sindrome di astinenza che si manifestano quando si interrompe il consumo. Funziona quindi, ma non troppo. (5).

Tra acido glutammico e GABA

Nei circuiti cerebrali su cui agisce la nicotina, tra sistema limbico, sistema della ricompensa e corteccia prefrontale, l’equilibrio funzionale è garantito da un costante bilanciamento della neurotrasmissione eccitatoria, mediata dall’acido glutammico e la neurotrasmissione inibitoria orchestrata dal GABA. Attraverso una serie di azioni indirette, la nicotina aumenta l’attività dell’acido glutammico e quella del GABA. Ma questa azione è sbilanciata in favore dell’acido glutammico e quindi fa prevalere l’azione eccitatoria, che a sua volta determina un aumento del rilascio di dopamina nel sistema della ricompensa.

E’ stato recentemente proposto che ripristinare l’omeostasi dell’acido glutammico porterebbe a una riduzione della stimolazione dei neuroni dopaminergici. La n-acetilcisteina (NAC),  oltre per i suoi poteri antiossidanti, svolge la funzione di favorire l’omeostasi del glutammato a livello intra- ed extracellulare e quindi è stato proposto come farmaco che aiuta a mantenere l’astensione per coloro che hanno smesso di fumare, riducendo il craving (7). Ma anche in questo caso il farmaco viene proposto come coadiuvante per mantenere uno stato di astensione, e quindi non può essere “la pillola che fa smettere di fumare”.

Un tentativo di usare un agonista del recettore GABA B, il baclofen, ha dato buoni risultati in un gruppo di 30 fumatori in contemplazione per cessare il fumo di tabacco. In nove settimane è stata raggiunta una riduzione delle sigarette fumate con effetti collaterali (ben noti in questi farmaci) di sonnolenza peraltro transitoria. (8). L’autrice di questo studio preliminare ha ottenuto di condurre uno studio tramite clinicaltrials.gov dell’NIH dal titolo “Baclofen effects in Cigarette Smokers” e sarà completato nel Giugno del 2017.

Un altro filone di ricerca è partito dalla constatazione della prevalenza di fumatori tra pazienti psichiatrici in particolare tra depressi e schizofrenici. È possibile che in questi soggetti si verifichi una particolare interazione tra i sistemi glutammato-dopamina tale da indurre una elevata sensibilità agli effetti di ricompensa della nicotina.  Inoltre è verosimile che in questi pazienti la nicotina venga usata come una automedicazione per contrastare gli aspetti cognitivi e depressivi della schizofrenia non ben contrastati dalla maggioranza dei farmaci antipsicotici. Per tali ragioni, alcuni ricercatori hanno proposto l’uso del farmaco antipsicotico atipico clozapina, che, attenuando i sintomi negativi della schizofrenia, ha ridotto il fumo di tabacco in alcuni pazienti senza alcun’altra forma di incoraggiamento di ridurre il fumo di tabacco. (9). Ovviamente però si tratta di una popolazione di fumatori scelti assai particolare. E tra l’altro occorre prestare particolare attenzione al corretto dosaggio della clozapina proprio quando questi pazienti in trattamento cessano di fumare.

Vaccini contro il fumo

Una ulteriore strategie di intervento è quella di ridurre la quantità di nicotina che raggiunge il cervello e quindi il circuito della ricompensa. In tal caso il soggetto potrà smettere più facilmente e/o non sarà assoggettato a una ricaduta. Questa è la logica che sottende la ricerca sui cosiddetti “vaccini” contro il fumoL’idea è quella di mettere a punto sostanze che rendano la nicotina una molecola oggetto di una reazione immunitaria in grado di neutralizzarne l’azione a livello periferico. Nessuno di questi “vaccini” è ancora stato reso idoneo all’uso pubblico. Quattro studi con criteri di evidenza scientifica sono stati analizzati, e gli autori hanno concluso che non ci sono evidenze che i vaccini della nicotina diano benefici a lungo termine. Anzi in due dei quattro studi importanti effetti collaterali sono stati evidenziati, anche se la maggioranza dei sintomi erano giudicati leggeri o moderati. (10) Recentissimi studi di fRMI hanno confermato inoltre in fumatori astinenti la forte influenza delle credenze per contrastare gli effetti delle droghe sul craving e sulle dipendenze, dimostrando la validità del trattamento cognitivo-motivazionale attraverso approfondimenti sui meccanismi neuroanatomici, per esempio a livello della corteccia insulare, dei trattamenti cognitivi per le dipendenze. La validità del supporto cognitivo-motivazionale viene però aumentata sensibilmente quando esso è accompagnato da terapia farmacologica e vice versa (11).

Conclusioni

E ora? Ci dobbiamo arrendere? Noi pensiamo di sì. Non ci sarà mai “la pillola che fa smettere di fumare”. Come ogni altra azione di cura o di recupero, anche il trattamento del tabagismo va concepito come un’azione individualizzata, una specie di arte che usa la scienza per trovare l’insieme di atti terapeutici su misura. È un lavoro da sarto. Chi cura deve saper prendere tutte le misure possibili, dal profilo somatico a quello temperamentale, che verosimilmente rimanda a un determinato specifico profilo neurofarmacologico del suo cervello, sul quale si deve intervenire con una specifica e individualizzata leva di farmaci. E allo stesso tempo questa ipotesi e il percorso di trattamento che ne scaturisce deve contemplare la persona, la sua storia, i suoi valori, l’ambiente dove vive, perché comunque ognuno di questi fattori agirà sul modo in cui funzionano i suoi sistemi funzionali nel cervello, sui precari e complessi equilibri tra neurotrasmettitori.

Riferimenti bibliografici 

  1. Cahill K. Et al. Nicotine receptor partial agonists for smoking cessation. Cochrane Database of systematic reviews, 2012, 4
  2. West, R., McNeill, A., & Raw, M. (2000). Smoking cessation guidelines for health professionals: an update. Thorax55(12), 987-999.
  3. Hughes JR et al.  Antidepressants for smoking cessation” Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, 1
  4. O’Malley SS et al. A controlled trial of naltrexone augementation of nicotine replacement therapy for smoking cessation. Arch. Intern Med. 2006 Mar27; 166(6):667-74.
  5. King A. et al. Effects of the opioid receptor antagonist naltrexone on smoking and related behaviors in smokers preparing to quit: a randomized controlled trial. Addiction. 2013 Oct; 108 (10): 1836-44
  6. Kahn R. et al. Selegilline transdermal system (STS) as an aid for smoking cessation. Nicotine Tob Res. 2012 Mar; 14(3): 377-82.
  7. Schmaal L., et al. (2011) Efficacy of N-acetylcysteine in the treatment of nicotine dependence: a double-blind placebo controlled pilot study. Eur Addict Res 17:211-216
  8. Franklin, T. R., Harper, D., Kampman, K., Kildea-McCrea, S., Jens, W., Lynch, K. G., Childress, A. R. The GABA B agonist baclofen reduces cigarette consumption in a preliminary double-blind placebo-controlled smoking reduction study. (2009) Drug and alcohol dependence, 103(1), 30-36.
  1. George, T. P., Vessicchio, J. C., Termine, A., Sahady, D. M., Head, C. A., Pepper, W. T., … & Wexler, B. E. (2002). Effects of smoking abstinence on visuospatial working memory function in schizophrenia.
  1. Hartmann-Boyce J et al. Nicotine vaccines for smoking cessation. Cochrane Database Syst Rev 2012 Aug 15; 8.
  2. Tinghino B., Zagà V. Curare il Tabagismo – medici e sanitari in prima linea. Tabaccologia 2s (2005) pp. 18-32.

Per approfondimenti su questo tema si può consultare il sito Psicoattivo, da cui è tratto l’articolo qui pubblicato.

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